di Federica Celani
Il Codice dell’Amministrazione Digitale (Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82 e s.m.i.) definisce il documento informatico come la rappresentazione informatica di un contenuto (atti, fatti o dati) giuridicamente rilevante.
Rispetto al valore legale, il Codice prevede soluzioni differenti a seconda che al documento sia apposta la firma elettronica.
Nel caso di documento privo di firma, la capacità di soddisfare il requisito della forma scritta e il valore di prova (il c.d. valore probatorio) sono liberamente valutabili in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità (art. 20).
Diversamente il documento informatico, sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale (strumenti informatici che garantiscono l’identificabilità dell’autore, l’integrità e l’immodificabilità del documento), è valido fino a querela di falso (art. 21). Gli standard di sicurezza riconducibili a questi sistemi di firma comportano l’inversione dell’onere della prova, per cui chi intende disconoscere la sottoscrizione di un documento, dovrà provare che l’apposizione della firma è riconducibile ad altri e che detta apposizione non è imputabile a sua colpa.
Si conferisce valore legale probatorio a qualsiasi documento informatico, rispettando le caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità.
1) Valore legale di una mail
Il valore probatorio di una mail, in quanto documento privo di firma, sarebbe da rinvenirsi nell’art. 2712 c.c. alla stregua del quale, le riproduzioni informatiche, «fanno piena prova dei fatti e delle cose rappresentate» solo se colui contro il quale sono prodotte non le contesta tempestivamente, disconoscendone la conformità. Dall’altro lato, invece, è stato sostenuto che la mail è, a tutti gli effetti, un documento informatico sottoscritto con firma elettronica semplice, come tale liberamente valutabile dal giudice sia in ordine all’idoneità della medesima a soddisfare il requisito della forma scritta, sia per ciò che concerne il suo valore probatorio, ai sensi degli artt. 20, c. 1-bis e 21, c.1, D. Lgs. 82/2005.
Tale impostazione si giustifica alla luce del fatto che lo user id e la password utilizzati per accedere alla casella di posta elettronica sono mezzi di identificazione informatica, come tali rientranti nella definizione di firma elettronica data dal legislatore. La mail, inoltre, viene associata all’indirizzo di posta elettronica che identifica l’utente (attestando l’indirizzo di provenienza) e include delle informazioni da cui si evince l’indirizzo del mittente, l’ora e la data. Pare potersi affermare, pertanto, che si sia in presenza di firma elettronica, dotata dei requisiti previsti dalla legge. In quanto documento informatico dotato di firma “semplice”, quindi, il valore probatorio della mail è liberamente valutabile dal giudice, «tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità». Per tale motivo il legislatore ha previsto che solo i documenti sottoscritti con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale abbiano l’efficacia di scrittura privata prevista dall’art. 2702 c.c. Per quanto concerne il messaggio di posta elettronica semplice, invece, deve ritenersi che sia demandato al giudice il compito di valutare nel caso concreto se la mail prodotta in giudizio possa considerarsi attendibile, anche in relazione agli altri elementi probatori acquisiti.
E’ importante, se si è accusati di aver inviato una mail per la quale ci si ritiene estranei, di disconoscere formalmente e tempestivamente la stessa mail, per far cadere la portata probatoria, sino alla eventuale richiesta da parte del giudice, di verifica della mail con una analisi forense effettuata da tecnici informatici specializzati.
In una sentenza della Cassazione si afferma che: “l’art. 2719 c.c., che esige l’espresso disconoscimento della conformità con l’originale delle copie fotografiche o fotostatiche, è applicabile tanto alla ipotesi di disconoscimento della conformità della copia al suo originale, quanto a quella di disconoscimento della autenticità di scrittura o sottoscrizione, e , nel silenzio normativo sui modi e termini in cui deve procedersi, entrambe le ipotesi sono disciplinate dagli artt. 214 e 215 c.p.c., con la conseguenza che la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, se non venga disconosciuta in modo formale e inequivoco alla prima udienza o nella prima risposta successiva alla sua produzione” (Cass. n. 2374 del 2014).
Il codice civile disciplina espressamente numerosi documenti che possono costituire prova nel giudizio ancorché non sottoscritti dal suo autore: il telegramma (art. 2705 cod. civ.), i registri domestici (art. 2707 cod. civ.), le annotazioni del creditore a margine dei documenti in suo possesso (art. 2708 cod. civ.), le scritture contabili prodotte contro l’imprenditore (art. 2709 e ss. cod. civ.), le copie delle scritture (art. 2714 e ss. cod. civ.), e, cosa più importante ai fini di questa breve trattazione, le riproduzioni meccaniche (fotografiche, informatiche o fonografiche) di atti o fatti (art. 2712 cod. civ.) La posta elettronica, consistendo in un testo (con o senza allegati) inviato al gestore del servizio perché sia inoltrato a destinazione con la consegna nella casella di posta elettronica del destinatario, appare ipotesi assimilabile al telegramma: se il messaggio non è sottoscritto, il giudice può ritenere provati i fatti in esso descritti sino a che la parte, contro cui il documento viene utilizzato, non lo disconosca.
La giurisprudenza di merito è giunta ad affermare che la mail costituirebbe sempre un documento informatico sottoscritto con firma elettronica poiché il mittente, per inviare il messaggio, è obbligato a inserire il proprio identificativo personale (username) e il proprio codice di accesso.
2) Valore legale di un SMS
Anche gli SMS sono considerati rilevanti ai fini probatori per dimostrare il configurarsi di un reato. Infatti, sono legalmente inquadrati come corrispondenza, quindi con valore di forma scritta. La Cassazione peraltro aveva già conferito valore probatorio agli SMS e alle immagini contenute negli MMS, ritenute “elementi di prova” integrabili con altri elementi anche in caso di contestazione (Cass. Civ. 11/5/05 n. 9884), chiarendo che in caso di disconoscimento della “fedeltà” del documento all’originale, rientrerebbe nei poteri del Giudice accertare la conformità all’originale, anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass. 26/01/2000 n. 866, ex multis).
3) Valore legale di una Chat
Conversazioni in chat su WhatsApp, Telegram, Messenger, Facebook e altre chat rientrano nel concetto generale di “forma scritta”, cui è possibile certificare l’autenticità grazie a un account personale o numero telefonico intestato. Quindi anche le chat sono considerabili come probatorie. Esiste una differenza tra chat acquisite in tempo reale e quelle acquisite post invio.
Se il messaggio vocale viene ascoltato in tempo reale, ossia nell’esatto momento in cui viene trasmesso al destinatario, si tratterà di una comunicazione, intendendo una interazione tra due soggetti (mittente e destinatario), attraverso la trasmissione di dati digitali dal contenuto riservato tra due persone fisicamente distanti, ma collegate tra loro tramite una connessione internet. Diversamente, se il messaggio vocale viene ascoltato successivamente, ovvero nel momento in cui il destinatario attiva la connessione internet in precedenza disattivata, ricevendolo, si tratterà di un documento informatico archiviato nella memoria.
Nel primo caso, a fronte di un’interpretazione che considera quel messaggio una “comunicazione”, si pone il problema di chiarire quale strumento debba ritenersi concretamente applicabile per ricercare l’elemento di prova: l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche (ex art. 266 c.p.p.) ovvero l’intercettazione di comunicazioni informatiche o telematiche (ex art. 266-bis c.p.p.).
Nel secondo caso il messaggio vocale è già pervenuto al destinatario pertanto, trattandosi di dati giunti a destinazione archiviati nella memoria, non potranno più essere considerati oggetto di un flusso di comunicazione, ma documenti informatici. Grazie all’intervento della legge n. 48/08 , il documento informatico è equiparabile al documento “tradizionale”, inteso come rappresentativo di una determinata realtà. Infatti, i dati archiviati in memoria godono di un’elevata potenzialità rappresentativa – pari a quella di un qualsiasi documento cartaceo – che potrà rivelarsi solo attraverso specifiche operazioni di acquisizione, custodia, lettura, ed analisi dei dati.
Per procedere alla cartificazione con valore legale è necessario rivolgersi a tecnici informatici, poiché presentare immagini o contenuti senza estrarli in modo forense non ha valore legale e se contestate dalla controparte perdono subito significato.
Una attenzione particolare merita WhatsApp, poiché l’acquisizione forense certificata di una chat Whatsapp può essere utilizzata per :
- Conferire valore legale;
- Verificare l’utilizzo del controllo remoto whatsapp ai fini di monitoraggio delle chat;
- Analizzare i file di log di Whatsapp al fine di ricostruire l’attività dell’utente;
- Documentare atti con finalità di produzione in giudizio, per la predisposizione di una denuncia/querela in processi penali o per richiesta di risarcimento in ambito civile o al fine di denuncia per diffamazione ;
- recuperare le chat cancellate dall’utente.
4) Valore legale di una pagina web o di un video online
Ciò che appare sullo schermo del computer quando si accede ad un sito internet non è altro che la replica, scaricata nella memoria di lavoro del PC, delle informazioni presenti sul sito che stiamo visitando. Si tratta, pertanto, della «rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti» o, in altri termini, di un documento informatico. La pagina web (così come i messaggi di posta elettronica non muniti di firma elettronica o i messaggi di testo SMS) è dunque un documento che può essere introdotto nel giudizio come prova, anche se non sottoscritto.
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