di Anna Rita Baldassarra
E’ cronaca di questi giorni l’arresto di un sindaco coinvolto in vicende legate a favoritismi nell’espletamento di concorsi pubblici.
Ma ci siamo chiesti cosa spinga un amministratore, un personaggio che gode di visibilità territoriale a livello, minimo, regionale; un uomo che aspira, proprio in virtù dei meritati o meno meritati successi elettorali, a traguardi più ampi, a poltrone più prestigiose, a favorire l’assunzione di un neolaureato, di un diplomato che, fino a qualche giorno prima, era addetto alle fotocopie in uno studio professionale o serviva caffè al bar?
Rispetto incondizionato per tutti coloro che svolgono un’umile attività… io stessa, ai tempi della gavetta, ribattevo colli alle giacche, cucendoli a mano in un laboratorio di confezioni.
Proviamo ad andare con ordine.
In una legittima seduta di concorso pubblico, priva di qualsivoglia condizionamento, il vincitore non può che essere il più bravo.
Innegabile.
Nell’ipotetico mondo dei sogni della Pubblica Amministrazione, tutti ci auguriamo che abbiano accesso alla copertura dei posti di lavoro, ove si gestisce la cosa pubblica, professionisti onesti, prima di tutto, poi altamente qualificati.
Sempre nell’ipotetico mondo dei sogni della PA gli amministratori, desiderosi di attuare progettualità significative, finalizzate alla crescita del paese, vorranno nei propri staff, nei gruppi di lavoro, persone ben formate, capaci di “resolving power” immediato ed efficace.
Ed allora… cosa spinge alcuni di essi a mettere a rischio l’integrità della propria fedina penale per “piazzare” nei posti da dirigente a semplice esecutore un candidato qualunque? meglio se disoccupato da tempo, magari con famiglia a carico, capace di profonda riconoscenza vita natural durante o, sufficientemente, fino alla prossima tornata elettorale?
E’ il figlio di un amico? La mazzetta? Un debito di riconoscenza trasversale?
Il rischio penale ma, ancor di più, elettorale, legato ad uno scandalo che si, viene presto dimenticato, ma che può compromettere un progetto preordinato, è troppo alto per giustificare un tale azzardo.
E quale vantaggio maggiore avere nel proprio staff uno o più dipendenti “fedeli” ai quali basterà una strizzata d’occhio, la promessa di una promozione, di un incentivo, per piegarlo alla propria volontà?
E quale volontà è difficile da attuare se non quella che ha bisogno di complici?
di teste incapaci di pensare?
o che pensano ma sono pervase da un debito di riconoscenza che piegherà, fino ad esaurirlo, l’ultimo barlume di consapevolezza?
E quale volontà se non quella che ha traiettorie perverse? Tese verso logiche di profitto? Quella che mette il visto a progetti pensati indietro nel tempo?
Ecco, per questo, ne vale la pena…
Ecco, per questo, non mi fermerei qui… andrei oltre nel compito di chi è chiamato a mettere in campo esperienza e capacità per vedere oltre il muro dell’immediata apparenza.
Come un bambino che ricostruisce un puzzle, non mi limiterei a disfarlo non appena compare l’immagine cercata.
Completerei quella immagine, la osserverei sotto ogni angolazione per calarne ogni sfumatura.
Perché ogni tassello aggiunto modifica il quadro, ogni piccolo pezzo, se ben piazzato, rende più chiari i contorni.
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