La prossima settimana dovrebbe essere ufficializzato, come da attese, un altro rinvio del costo del denaro da parte della Federal reserve americana. I dati sull’economia degli Stati Uniti sono diversi e meno positivi rispetto a quelli dell’area euro – dove, comunque, si registrano vistose differenze interne – ragion per cui la Banca centrale europea non deve attendere né rinviare il primo passo per il ritorno a una politica monetaria più accomodante. La riduzione del costo del denaro, oggi al 4,5%, deve iniziare, come atteso da molti osservatori, nella riunione di giugno: un eventuale, ennesimo slittamento cagionerebbe danni irreparabili al quadro macroeconomico dell’eurozona.
È quanto spiegano in un paper gli analisti del Centro studi di Unimpresa.
«Del resto, nell’area euro, ci si aspetta che la crescita nel 2024 rimanga debole, caratterizzata da un lento aumento dei consumi, con i salari reali che si avvicinano ai livelli del 2020 e dagli investimenti che rimangono stagnanti, a causa di una restrizione monetaria ancora significativa nell’area. Verso la fine dell’anno, l’inflazione dovrebbe avvicinarsi al 2%, mentre i mercati stanno già prevedendo un tasso ufficiale di interesse sui depositi superiore al 3%. Se si considera la crescita modesta, attualmente i mercati attendono un primo taglio dei tassi ufficiali da parte della Bce all’inizio dell’estate, anche nel caso in cui i dati sui salari contrattuali nel primo trimestre, in arrivo a breve, riflettano un tentativo di ripresa dei salari reali» osserva il Centro studi di Unimpresa.
Secondo gli esperti dell’associazione «sia i mercati finanziari sia gli esperti prevedono che il raggiungimento dell’obiettivo del 2% di inflazione fissato dalla Bce nell’area dell’euro porterà a una graduale riduzione delle condizioni monetarie e dei costi del credito. Questo stimolerà una dinamica più positiva della spesa per i consumi e degli investimenti nella seconda metà dell’anno. Gli investimenti beneficeranno inoltre delle risorse provenienti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), insieme alla diminuzione dei costi degli input legati alla discesa dei prezzi dell’energia e alla capacità delle imprese di autofinanziamento, che è stata accumulata grazie ai margini di profitto ottenuti negli ultimi anni».
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