Il mix di alta inflazione e rendimenti zero sui conti correnti rappresenta una tassa occulta sui depositi di famiglie e imprese di oltre 52 miliardi di euro. Il saldo dei conti correnti bancari è pari a 1.317 miliardi e su questa somma le banche riconoscono una remunerazione che in media è inferiore all’1%. Considerano l’inflazione al 5,3%, vuol dire che il potere d’acquisto delle somme lasciate in banca dai correntisti si riduce di circa il 4% annuo pari, appunto, a 52,6 miliardi. È quanto segnala il Centro studi di Unimpresa secondo cui nell’ultimo anno, il totale delle somme della clientela bancaria, tra conti e depositi, è calato di 93,7 miliardi, da 2.075 miliardi a 1.982: le riserve degli italiani, dunque, utilizzate da famiglie e imprese per far fronte all’impennata dei prezzi tornano sotto la soglia dei 2.000 miliardi, con una riduzione di 93,7 miliardi (-4,5%). «La politica monetaria della Banca centrale europea sta producendo anche questo drammatico effetto. Il prossimo 26 ottobre si riunisce il direttivo della Bce e, al momento, non ci sono elementi macroeconomici né ragioni politiche perché il board dell’Eurotower aumenti ancora il costo del denaro, portato lo scorso 14 settembre al 4,50%. Anzi: l’attuale livello dell’inflazione e le tensioni in Medio Oriente suggeriscono alla Bce di agire con la massima prudenza, per evitare, in una fase così incerta per il ciclo economico, di indebolire le prospettive di ripresa e di crescita del pil nell’eurozona. Dopo 14 mesi di follia, ci aspettiamo una seduta del direttivo Bce all’insegna della prudenza e soprattutto del buon senso. Finora, l’aumento furibondo dei tassi ha cagionato danni enormi, mettendo in difficoltà le famiglie e le imprese che avevano prestiti a tasso variabile e i dati sulle sofferenze sono la rappresentazione plastica di questa drammatica situazione» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.
Secondo il documento del Centro studi di Unimpresa, che ha rielaborato dati della Banca d’Italia, il totale delle riserve degli italiani è sceso, nell’ultimo anno, di 93,7 miliardi di euro (-4,5%), dai 2.075,7 miliardi di agosto 2022 ai 1.982,01 miliardi di agosto 2023. Nell’osservare i quattro differenti strumenti bancari, il maggior calo si osserva nell’ambito dei conti correnti, il cui saldo complessivo è sceso di 157,4 miliardi (-10,7%), da 1.474,8 miliardi a 1.317,3 miliardi; in discesa di 4,9 miliardi (-1,5%), poi, i depositi rimborsabili con preavviso, passati da 320,6 miliardi a 315,6 miliardi. Sono aumentati, invece, di 3,6 miliardi (+3,4%) i pronti contro termine, da 108,1 miliardi a 111,8 miliardi. Vistosa crescita, infine, per i depositi con durata prestabilita, saliti di 64,9 miliardi (+37,7%) da 172,2 miliardi a 237,1 miliardi. La fotografica complessiva consente di affermare che un parte delle riserve di famiglie e imprese sono state utilizzate come “arma” anti-inflazione e caro-tassi: nel caso delle famiglie, i risparmi sono serviti per far fronte all’aumento dei prezzi, per fare la spesa quotidiana, per pagare le bollette delle utenze domestiche, per sostenere le spese scolastiche dei figli, per onorare le scadenze con rate, mutui e prestiti, per i viaggi; per quanto riguarda le imprese, con ogni probabilità il ricorso alle “riserve” è stato, laddove possibile, un percorso obbligato per evitare di indebitarsi con costi, a motivo della fiammata dei tassi, divenuti insostenibili.
In questo contesto, va preso in considerazione l’effetto del potere d’acquisto, eroso dall’inflazione e anche dal livello bassissimo della remunerazione riconosciuta dalle banche su conti correnti e depositi: solo per questi ultimi, negli scorsi mesi si è registrata una crescita rilevante, talora superiore al 3% annuo, in particolare per quanto riguarda i depositi con durata prestabilita che, tuttavia, rappresentano solo una fetta minore rispetto al totale della raccolta diretta delle banche. Sui conti correnti, invece, il cui totale ammonta a 1.317 miliardi, la remunerazione da parte delle banche risulta ancora assai fiacca: la media nazionale, ad agosto, è inferiore a un punto percentuale. Ne consegue che l’inflazione al 5,3% associata ai bassi tassi bancari (sotto 1%) rappresenta una tassa occulta superiore al 4% il cui costo, a carico di famiglie e imprese, in termini di perdita di potere d’acquisto è di almeno 52 miliardi di euro.
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