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INFLAZIONE: UNIMPRESA, OLTRE 6% CON TENSIONI TRA RUSSIA E UCRAINA

Tre scenari sul conflitto russo-ucraino: effetti negativi sui prezzi delle materie prime e sul pil. Il presidente onorario Longobardi: «Sta emergendo la debolezza e la frammentazione dell’Unione europea. Il decreto varato ieri dal governo non tiene conto delle inevitabili ripercussioni del braccio di ferro tra Mosca e Kiev»

Le tensioni tra Russia e Ucraina potrebbero avere effetti negativi sulle economie dell’area euro e sull’Italia in particolare, con un aumento aggiuntivo dell’inflazione par all’1,8% sia quest’anno sia nel 2023, che porterebbe il caro-prezzi a galleggiare attorno al 6% e andare oltre, mentre il prodotto interno lordo del nostro Paese potrebbe subire un contraccolpo superiore all’1%, con la corsa che si fermerebbe ben al di sotto del 4%. È quanto emerge da una analisi del Centro studi di Unimpresa, che ha ipotizzato diversi scenari in relazione all’evolversi della crisi russo-ucraina e le conseguenze sulla crescita economica dell’area euro. Le principali ripercussioni, secondo Unimpresa, si avvertirebbero sul versante del prezzo delle materie prime, in particolare gas e petrolio, con consequenziali effetti sul prezzo dell’energia, provocando inevitabilmente un incremento dell’inflazione fra il +0,8% e il +1,8% nell’ipotesi di un vero e proprio conflitto locale duraturo. «Quello che sta accadendo tra Russia e Ucraina, di là dalle preoccupazioni generali, che tutti noi abbiamo, mostra la debolezza dell’Unione europea sul versante della politica estera e si tratta di un limite storico, oltre che strutturale, che limita fortemente l’assetto dell’Ue anche in chiave economica. La frammentazione è sotto gli occhi di tutti» commenta il presidente onorario di Unimpresa, Paolo Longobardi, secondo il quale «il decreto varato ieri dal governo per alleviare l’aumento della bolletta energetica potrebbe essere insufficiente già a stretto giro: le misure non tengono conto delle inevitabili ripercussioni, sul resto d’Europa, del braccio di ferro tra Mosca e Kiev».

Il Centro studi di Unimpresa ha ipotizzato, in relazione all’Italia, tre diversi scenari per l’evoluzione della vicenda tra Russia e Ucraina. Lo scenario di base fa riferimento a una situazione che potrebbe risolversi positivamente in pochi mesi, senza un vero e proprio teatro di guerra: in questo caso, l’inflazione nel nostro Paese salirebbe dello 0,8% nel 2022 e non avrebbe ripercussioni significative nel 2023. Quest’anno, quindi, il caro-vita supererebbe quota 5%. Quanto al pil, l’effetto negativo per il 2022 può essere calcolato in un calo dello 0,6%, ma poi verrebbe sterilizzato l’anno prossimo. Nello scenario intermedio, con una tensione che potrebbe andare avanti per molti mesi, senza però sfociare in un conflitto bellico, l’inflazione subirebbe un incremento aggiuntivo dell’1,1% nel 2022 e dell’1,2% nel 2023: quest’anno, quindi, il caro-vita si avvicinerebbe al 6%. In questo secondo scenario, il pil subirebbe una frenata dello 0,7% quest’anno e dello 0,8% nel 2023. L’ipotesi peggiore, la terza analizzata da Unimpresa, fa riferimento a un conflitto locale duraturo: in questo caso, l’inflazione, a cagione delle tensioni e delle speculazioni sulle materie prime, gas e petrolio in particolare, subirebbe un aumento extra dell’1,8% sia nel 2022 sia nel 2023, andando anche oltre quota 6% nel corso di questi 12 mesi. Mentre il prodotto interno lordo, nello scenario più avverso, accuserebbe un contraccolpo dell’1,1% fermandosi complessivamente sotto la soglia del 3%. Qualsiasi sia lo scenario, l’Italia deve prepararsi a un anno assai complesso: l’aumento del prezzo delle materie prime farà inevitabilmente salire i costi di produzione delle attività manifatturiere, con danni durissimi da sopportare soprattutto per le piccole e medie imprese.

«Se gli annunci saranno confermati, anche il premier italiano, Mario Draghi, nei prossimi giorni incontrerà il leader Russo Vladimir Putin, il quale ha già dialogato con il capo dell’Eliseo, Emmanuel Macron: insomma, l’Europa non ha una linea chiara e manca chiaramente una strategia comune, senza dimenticare che, proprio su un terreno delicatissimo, quello dell’energia, la situazione dei paesi europei è drammaticamente frammentata. Tutto ciò comporta approcci differenti e la difficoltà di trovare un punto di equilibrio. Rispetto alla Francia e anche alla Germania, per esempio, l’Italia produce in casa una quota bassissima del fabbisogno energetico nazionale. I francesi hanno il nucleare, i tedeschi usano ancora molto carbone: noi né l’uno né l’altro. Ne consegue che, rispetto a quanto sta accadendo al confine ucraino, considerando la quantità ingente di gas che noi compriamo proprio dalla Russia, siamo in una posizione di debolezza e gli altri due grandi paesi europei, Francia e Germania, non hanno particolare interesse a tutelare» osserva ancora Longobardi. 

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