L’impennata dell’inflazione, a ottobre salita al 3,8%, si trasforma di fatto in una tassa occulta sui conti correnti da quasi 80 miliardi di euro. L’aumento dei prezzi, infatti, ha un impatto indiretto sulla liquidità lasciata nei depositi bancari da famiglie e imprese: somme di denaro infruttifere, pari a oltre 2.000 miliardi, che perdono di potere d’acquisto con l’incremento dell’inflazione. Si tratta, in totale, di 77,5 miliardi di euro: una stangata nascosta che pesa soprattutto sulle famiglie, con una cifra di 43,4 miliardi, poi sulle aziende con 15,2 miliardi, sulle imprese familiari con 3,1 miliardi, sulle onlus con 1,2 miliardi. È quanto emerge da una analisi del Centro studi di Unimpresa, secondo la quale anche lo Stato centrale subirà gli effetti dell’inflazione con una perdita di potere d’acquisto pari a 904 milioni e mentre gli enti locali (regioni e comuni) subiranno un danno di 805 milioni, più dei 617 milioni a carico delle assicurazioni e dei 286 milioni a carico dei fondi pensione, mentre la liquidità dei fondi d’investimento sarà erosa per 11,8 miliardi. «L’aumento incontrollato dei prezzi, a cui stiamo assistendo da mesi, può pregiudicare la ripresa economica e comunque rendere almeno in parte vana il rimbalzo del pil del 2021: è un argomento che sorprendentemente viene poco seguito dal governo, un po’ indebolito dalle liti all’interno della maggioranza e troppo preso dalla vicenda del Quirinale. Nei giorni scorsi ho notato una grande attenzione alla cosiddetta variante Omicron, che per fortuna sembra assai meno pericolosa di quanto si è frettolosamente raccontato. La pandemia da Covid è una emergenza, ma non deve diventare una permanente arma di distrazione di massa per allontanare i riflettori dell’opinione pubblica da temi scomodi» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.
Secondo l’analisi del Centro studi di Unimpresa, che ha elaborato i dati della banca d’Italia, a settembre scorso, in totale, sui depositi bancari risultavano 2.040,1 miliardi di euro: su questa somma, che non viene remunerata dalle banche a causa dei tassi d’interesse prossimi allo zero, pesa l’inflazione che è salita al 3,8% (dato di ottobre) e, mangiando il potere d’acquisto, fa scattare una tassa occulta pari a complessivi 77,5 miliardi. La stangata nascosta dall’aumento dei prezzi è così ripartita: 43,4 miliardi sui 1.143,7 miliardi delle famiglie, 15,2 miliardi sui 400,6 miliardi delle aziende, 3,1 miliardi sugli 81,3 miliardi delle imprese familiari, 1,2 miliardi sui 33,9 miliardi delle onlus, 904 milioni sui 23,7 miliardi dello Stato centrale, 805 milioni sui 21,1 miliardi degli enti locali, 617 milioni sui 16,2 miliardi delle assicurazioni, 286 milioni sui 7,5 miliardi dei fondi pensione e 11,8 milioni sui 311,7 miliardi dei fondi d’investimento. La stangata sui conti correnti cagionata dall’inflazione potrebbe risultare, nell’arco dei prossimi 12 mesi, anche più cospicua se, come probabile, l’indice dei prezzi al consumo continuerà a salire ancora.
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