Si è aperta una settimana chiave per il futuro della nostra economia e per il Paese. Il Governo dovrebbe approvare due importanti provvedimenti: la delega sul fisco e la riforma del mercato del lavoro. Tributi e occupazione sono solo due dei temi a cui dovrebbe essere rivolta l’attenzione degli imprenditori, preoccupati, a esempio, anche dalla bassa produzione industriale oppure dalle difficoltà che si cominciando a intravedere financo sul fronte dell’export. Il made in Italy soffre e le prospettive di crescita, necessarie per uscire in tempi brevi dalla recessione, si affievoliscono giorno dopo giorno.
Più o meno attorno a queste considerazioni dovrebbe ruotare l’attività per chi – come me – presiede un’associazione imprenditoriale e, allo stesso tempo, guida un’impresa. Eppure non è più così. Almeno da un po’ di tempo a questa parte. La bufera finanziaria internazionale mi ha costretto a cambiare mestiere. Il che, di per sé, non sarebbe un problema. E invece lo è: visto che, senza volerlo e senza accorgermi di nulla, mi ritrovo ormai a fare, senza titoli, lo psicologo. Chi sono i miei «clienti»? Semplice: decine, anzi centinaia di titolari di micro, piccole e medie imprese. Artigiani, commercianti, agricoltori che ogni giorno bussano alla porta di Unimpresa in preda alla di-spe-ra-zio-ne, perché non «girano soldi» e portare i libri in tribunale è l’unica soluzione possibile.
Ecco perché gli uffici dell’associazione si sono trasformati in un enorme «consultorio imprenditoriale». E, si badi bene, non me ne rammarico. Perché chi viene da me, anche in lacrime, spesso lo fa per sfogarsi e, in qualche modo, trova un conforto, una parola di sostegno, l’abbraccio di un amico. E’ poco? Forse sì. Tuttavia sono convinto che qualche gesto disperato o addirittura qualche suicidio siamo riusciti a evitarlo, seppure improvvisandoci a svolgere un mestiere per il quale non siamo né preparati né formati.
La crisi, purtroppo, è anche questo: ha rivoluzionato i sistemi economici e ha anche ribaltato i ruoli degli operatori del settore. Non solo. Gli imprenditori sono sconfortati e dietro i freddi numeri snocciolati da enti di ricerca e istituzioni sui fallimenti (ogni giorno chiudono i battenti centinaia di aziende) si cela un dramma sociale di dimensioni devastanti. Un dramma che va ben oltre la sede dell’impresa ed entra nelle case, squassando gli equilibri di intere famiglie: per un marito è dura ammettere di fronte alla moglie un flop; per un padre c’è perfino il senso di vergogna di fronte ai figli per la mancanza di denaro.
L’Esecutivo guidato dal professor Mario Monti è partito col piede giusto e forse, adesso, comincia a rallentare la corsa. Noi speriamo che possa proseguire l’azione di risanamento dei conti pubblici, ma che venga dato il via libera pure a un altro cantiere, quello della lotta agli sprechi: primo passo per disboscare il bilancio statale e cominciare a ridurre il macigno del debito pubblico. Partono proprio da quei 1.900 miliardi di euro, del resto, i principali dei problemi. E solo riducendo quella montagna si può sperare di avviare una riforma tributaria che porti a un rapido abbattimento delle tasse. È dall’oppressione fiscale che trae origine l’affossamento dell’economia italiana.
Paolo Longobardi, presidente di Unimpresa
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