L’ipotesi di chiedere alle banche un contributo, sotto forma di liquidità, anticipando i versamenti fiscali legati alle cosiddette imposte differite (Dta, deferred tax asset), espone il governo al rischio di dover ricorrere, nel 2025, a una correzione dei conti pubblici. Potrebbero crearsi, infatti, talune criticità sul fronte dei flussi nelle casse dello Stato: gli anticipi degli istituti di credito si trasformano istantaneamente in un credito d’imposta significativo che comporteranno una inevitabile riduzione, in futuro, dei versamenti erariali.
Di qui il pericolo, per le finanze pubbliche, di dover gestire problemi sul fronte delle disponibilità finanziarie. Una situazione che si potrebbe manifestare qualora il gettito dello Stato, l’anno prossimo, restasse piatto o subisse qualche rallentamento.
È quanto segnala il Centro studi di Unimpresa secondo cui, le eventuali misure del governo sulla liquidità apportata dal settore bancario sono un sostanziale azzardo: si basano più su eventi sperati che su stime attendibili.
«Noi riteniamo ragionevole e opportuno chiedere alle banche un contributo per sostenere la ripresa economica. Al settore bancario va chiesto uno sforzo concreto, in termini di maggiori tasse sugli utili da favola realizzati grazie alla politica monetaria della Banca centrale europeo. Non servono, e peraltro sono pericolosi, provvedimenti farlocchi o misure virtuali che non rappresentano nulla di sostanziale, ma servono solo al governo per sbandierare, a chi è distratto o non conosce la materia, di aver tolto denaro ai ricchi per condurre in porto la legge finanziaria.» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora. «La definizione della prossima legge di bilancio rappresenta un momento cruciale per l’economia italiana. In un contesto di elevata incertezza economica, aggravato dalla persistente volatilità dei mercati finanziari e dalla fragilità delle finanze pubbliche, è imperativo che il governo adotti un approccio prudente nella selezione delle misure fiscali e di spesa, concentrando le risorse a disposizione per ridurre la pressione fiscale sulle piccole imprese e sulle famiglie. La stabilità finanziaria del Paese non può essere messa a rischio da iniziative che, pur avendo potenziali benefici di breve termine, possano compromettere il quadro macroeconomico nel lungo periodo» aggiunge Spadafora.
Secondo il Centro studi di Unimpresa, l’Italia si trova attualmente di fronte a una serie di sfide economiche significative. Tra queste, spiccano un debito pubblico che balla attorno ai 3mila miliardi di euro, con un rapporto debito/pil che supera il 140%.
Questi valori richiedono un’attenta considerazione dei costi e dei benefici di ogni misura fiscale prevista, poiché un errore di valutazione potrebbe innescare una spirale negativa difficile da controllare.
Inoltre, le previsioni per il pil del 2025 indicano una crescita intorno all’1%, un dato modesto che lascia poco spazio per manovre fiscali espansive senza rischi.
Gli effetti sull’indebitamento pubblico e sulle future emissioni di titoli di stato devono essere valutati attentamente, tenendo conto dei rischi associati a una crescita dei tassi d’interesse a livello globale.
È essenziale mantenere l’equilibrio tra le necessità di supportare la crescita economica e quella di assicurare una gestione prudente delle finanze pubbliche. Una spesa pubblica eccessiva, se non adeguatamente finanziata, potrebbe generare sfiducia nei mercati, aumentando il costo del debito e limitando la capacità di intervento dello Stato in caso di ulteriori crisi.
In particolare, l’aumento dei tassi di interesse della Banca Centrale Europea, che ha portato il tasso di riferimento al 4,5% nel 2023 e oggi è stato tagliato al 3,65%, rappresenta un ulteriore fattore di pressione. Questo incremento rende più costoso il rifinanziamento del debito pubblico, tant’è che nel 2025 la spesa per interessi sarà superiore a 100 miliardi, e potrebbe influire negativamente sulle previsioni economiche a medio termine.
Le misure pro-cicliche, come aumenti della spesa pubblica in periodi di crescita economica o riduzioni delle imposte senza un’adeguata copertura, possono amplificare le oscillazioni economiche, incrementando il rischio di instabilità.
In questo contesto, è consigliabile evitare interventi che, sebbene possano sembrare vantaggiosi nell’immediato, possano causare un deterioramento della situazione fiscale a lungo termine. Le politiche fiscali dovrebbero essere orientate alla stabilità e alla riduzione del rischio, piuttosto che all’inseguimento di benefici temporanei che potrebbero risultare insostenibili nel medio e lungo periodo.
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