di Mariagrazia Lupo Albore, Direttore generale Unimpresa
Era giovane, bellissima, con una vita intera davanti. Margaret Spada, 22 anni, originaria di Lentini, è morta in un luogo che avrebbe dovuto proteggerla, uno studio medico a Roma, durante un intervento di rinoplastica. Un intervento “di routine”, dicono spesso i chirurghi per tranquillizzare i pazienti. Ma di routine, questa volta, non c’era proprio nulla. Non c’erano le autorizzazioni necessarie, né la sicurezza di un ambiente idoneo. C’era, invece, un vuoto spaventoso di controlli, di etica, di umanità. Questa non è solo la storia di una morte tragica. È una ferita aperta che riguarda tutti noi, che parla della nostra società, delle nostre ossessioni, delle nostre colpe. Perché Margaret, come tanti giovani, si è fidata. Ha creduto alle promesse patinate di un’estetica perfetta, di una bellezza senza difetti, spesso venduta sui social come un diritto accessibile a tutti. Ma a che prezzo?
Le prime indagini parlano chiaro: lo studio medico non era autorizzato a eseguire interventi chirurgici. Cosa significa, in termini semplici? Che qualcuno ha deciso di aggirare le regole, di mettere a rischio la vita altrui per profitto. Margaret è diventata vittima di un sistema spregiudicato in cui alcuni, forti di una parvenza di professionalità, si improvvisano medici. Si gioca con la vita delle persone come se fosse una partita a dadi. Ma qui non ci sono seconde possibilità, non ci sono tasti “reset”. Quando una giovane donna muore, il danno è irreparabile.
È imperativo chiedersi: quanti altri studi abusivi ci sono? Quante vite vengono messe in pericolo ogni giorno da chi non ha il diritto di indossare un camice? Le autorità devono agire. Serve una rete di controlli più fitta, più capillare, perché oggi, evidentemente, le maglie sono troppo larghe. E attraverso quelle maglie passano tragedie come questa. Viviamo in un’epoca in cui i social media sono diventati la vetrina di tutto, anche della chirurgia estetica. Scorriamo le bacheche e troviamo foto del “prima e dopo”, interventi promossi come se fossero prodotti in saldo. “Rinoplastica veloce e sicura”, “Lip filler a prezzi competitivi”. La bellezza è diventata un prodotto di consumo, e il corpo umano una merce da plasmare secondo mode effimere. Quello che manca è il filtro. Manca un controllo su questa pubblicità invasiva, che spesso è fuorviante e irresponsabile. Quanti giovani si lasciano convincere dalle promesse di perfezione, senza chiedersi cosa c’è dietro? Margaret, probabilmente, ha fatto lo stesso. E oggi non c’è più. Qui servono regole, chiare e stringenti. Non si può più permettere che la chirurgia estetica venga venduta come un paio di scarpe. È un atto medico, complesso, che richiede competenza, esperienza e un ambiente sicuro. E invece viene banalizzato, ridotto a un’opzione low-cost che chiunque può permettersi. Ma il prezzo vero, troppo spesso, è la vita.
Poi c’è il punto più profondo, quello che dovrebbe interrogarci tutti, come società: perché siamo arrivati qui? Perché una ragazza di 22 anni sente il bisogno di cambiare il suo aspetto? La bellezza, oggi, sembra essere diventata il valore supremo, il metro con cui si misura il successo, la felicità, l’amore. Ma a chi giova tutto questo? A chi stiamo cedendo il controllo della nostra autostima? Margaret era già bella, ma forse non lo sapeva. Forse nessuno glielo aveva detto abbastanza. E allora viene da chiederci: cosa stiamo insegnando ai nostri giovani? Quali valori stiamo trasmettendo? La perfezione estetica non è un obiettivo, e non dovrebbe esserlo. La vera bellezza sta nella diversità, nelle imperfezioni, in ciò che ci rende unici. E invece, ci troviamo intrappolati in un circolo vizioso che trasforma ogni difetto in un problema da risolvere, ogni insicurezza in un business.
La morte di Margaret Spada non deve passare sotto silenzio. Deve diventare un monito, un grido d’allarme. Servono leggi più severe, controlli più rigidi, ma serve anche un cambiamento culturale. Dobbiamo tornare a insegnare ai nostri figli che la bellezza non è un valore assoluto, che il loro valore non dipende dal naso perfetto o dalle labbra piene. Dobbiamo fermarci, guardarci allo specchio, e chiederci: cosa stiamo facendo? Margaret non può più farlo. Ma noi possiamo ancora scegliere di cambiare strada. Per lei, per tutti i giovani che vengono sedotti da un ideale irraggiungibile, per una società che vuole tornare a mettere al centro la vita, e non l’apparenza.
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