di Angelo Giardini, Consigliere Nazionale UnimpresaPol, membro Comitato di Presidenza con delega ai servizi connessi ai sistemi di Vigilanza
Siamo al solito paradosso!!!
Lo Stato chiede aiuto per impegnare risorse in un maggiore e migliore controllo dei contesti urbani e si infrange su “avvallamenti” normativi e burocratici che fanno venire meno la richiesta iniziale.
Vengo al punto, ho preso parte a degli interessanti webinar aventi ad oggetto: “Comuni ed Istituti di Vigilanza Privata. Limiti ed opportunità per il supporto alle attività di sicurezza urbana” e “Prevenzione, Protezione per una Sicurezza Urbana” che hanno incentrato il tema sulla questione legata alla NECESSITA’ del supporto di tutte le forze di verifica ed intervento, affinché la collettività possa beneficiare di diversi attori che possano, ognuno per la propria competenza e limite d’azione, procedere alla salvaguardia del bene pubblico.
Fermo restando il ruolo inequivocabile delle forze dell’ordine e della polizia locale/municipale nella gestione e controllo del territorio, la chiamata in soccorso dei sindaci nell’avere ulteriori risorse da porre in campo che possano VEDERE telecamere, gestire segnalazioni di allarme ed incanalare la giusta richiesta di intervento, diventa un fattore strategico che non può più essere ignorato.
Dall’idea iniziale del coinvolgimento di terze parti, come gli Istituti di Vigilanza, si passa direttamente allo studio di fattibilità, subissato da norme, tavoli di progettazione con Prefetture ed altri organi, privacy. regolamenti ed accordi locali, che tendono a far affievolire, se addirittura scemare, l’originaria propensione del primo cittadino, nel porsi quale attore principale del cambiamento e dell’innovazione del proprio territorio.
Esistono già delle norme ben specifiche che dettano gli ambiti e le competenze, come ad esempio il pacchetto sicurezza “Minniti” ovvero il D.L. 14/2017 preso a caposaldo per qualsiasi progetto in materia di sicurezza urbana integrata, con particolare riguardo all’art. 7 che pone le basi per permettere agli Istituti di Vigilanza di connettersi in tempo reale con le crescenti tecnologie urbane che generano allarmi per una prima azione di monitoraggio.
Ancora, il provvedimento del Garante della Privacy dell’8 aprile 2010, che al punto 4.6 incentiva il ricorso a sistemi di videosorveglianza integrati tra diversi soggetti, pubblici e privati, nonché l’offerta di servizi centralizzati di videosorveglianza remota da parte di fornitori (società di vigilanza, internet service providers, fornitori di servizi video specialistici).
Infine, la Direttiva del Viminale del 2 marzo 2012 che, in materia di aggiornamento e sviluppo della configurazione dei sistemi di videosorveglianza, contempla anche la partecipazione degli Istituti di Vigilanza al concetto di sicurezza integrata in senso lato.
Ma siamo alle solite! Si pongono le basi affinché il ruolo degli istituti di Vigilanza sia valorizzato nella logica di potenziare ulteriormente gli impianti di sicurezza delle città, anche con l’ausilio delle proprie centrali operative, specificatamente deputare a tale compito, ma non è ancora chiaro cosa possano sorvegliare ovvero, se oltre alla tutela del patrimonio, possono partecipare anche alla gestione concreta degli impianti di videosorveglianza comunale.
Ribadiamo un concetto chiave: la G.P.G., incaricata di pubblico servizio, può espletare servizi per la salvaguardia e la custodia dei beni altrui (art. 133 e 134 TULPS) e svolgere prestazioni di sicurezza complementare e sussidiaria (art-. 256 bis regolamento si attuazione del TULPS, nonché i servizi riservati ad alcuni siti puntuali individuati da specifiche norme).
Il D.M. 269/2010 nell’Allegato “D” fissa la definizione di obiettivi sensibili e speciali esigenze di sicurezza, avvalorando ancora meglio gli ambiti di competenza delle Guardie Particolari Giurate.
Giungendo alla conclusione, prima che qualcuno riesca a prestare la propria opera nel contesto urbano, a tutela e salvaguardia del bene pubblico, se pure nei limiti di spazio, di tempo e di luogo, bisogna necessariamente passare al vaglio dell’appesantimento dettato dalla burocrazia che prevede vengano formalizzati i necessari passaggi, attendendo tempi di approvazione eccessivamente lunghi che potrebbero fare venire meno l’esigenza cogente del momento:
Il passaggio nevralgico è quello di stilare un Patto per la sicurezza Prefetto – Sindaco, che individui:
- la necessità di sicurezza del territorio;
- specifici obiettivi per l’incremento dei servizi di controllo del territorio e per la Sua valorizzazione;
- i luoghi ed i beni da tutelare;
- le modalità di protezione, comprese quelle tecnologiche;
- gli attori coinvolti: forze dell’ordine, polizia locale/mancipale, istituti di vigilanza
- l’integrazione delle attività, nei limiti di competenza e legittimità di ciascuna.
TUTTO GIUSTO, ma siamo sicuri che le reali esigenze del momento dettate dal territorio, si sposino concretamente e fattivamente con i tempi di attuazione?
Siamo sicuri che all’interno della casa comunale vi siano le giuste risorse che possano essere dedicate all’avvio di tali protocolli d’intesa?
Siamo certi che il sindaco riesca ad essere correttamente e sinceramente consigliato dai propri dirigenti/consulenti sulla giusta strada da imboccare, così da valorizzare a pieno la propria AZIONE?
C’è bisogno di SEMPLICITA’ e SNELLIMENTO delle procedure, valorizzando quanto già in essere (Decreto Minniti, Provvedimento del Garante Privacy, Direttiva del Viminale), facendo parlare le diverse “casacche”, con l’unico intento di fornire a chi ha “il cerino in mano” decisioni rapide, efficaci ed incisive, evitando di perdere del tempo prezioso che potrebbe vanificare il raggiungimento dell’OBIETTIVO.
Ai posteri l’ardua sentenza….
- LA BUROCRAZIA CHE SOFFOCA LO SLANCIO E LA COLLABORAZIONE - 3 Maggio 2021