di Marco Massarenti, Consigliere nazionale Unimpresa Sanità e Welfare
Da un sondaggio tracciato da uno dei sindacati che rappresenta oltre 18mila camici bianchi alla cui indagine hanno aderito 4.258 medici che svolgono la loro professione in Italia, emerge non solo che si ritengono demoralizzati e abbandonati ma che il 72% non vorrebbe lavorare presso l’ospedale pubblico, il 73% è costretto a fare gli straordinari e il 42% ha accumulato oltre 50 giorni di ferie non usufruite.
Dalla stessa ricerca emerge anche che seppur il 72% dei medici partecipanti scegliesse sempre la stessa professione, solo il 28% continuerebbe a lavorare in una struttura pubblica. Il 26% di loro vorrebbe trovare lavoro all’estero, il 14% vorrebbe lavorare in una struttura privata, il 13% vorrebbe dedicarsi alla libera professione e addirittura, e da qui si evince quanto drammatica è l’esperienza che vivono nel quotidiano, il 19% preferirebbe anticipare il pensionamento e non solo perché ormai l’avanzamento è diventato un miraggio. Una percentuale quest’ultima da far riflettere se si pensa che quella del medico prima di essere una professione è una passione. Un trend che determinerà l’abbandono del posto pubblico in favore di quello privato.
In realtà l’emorragia di medici dagli ospedali è già iniziata da tempo, come indicano i dati del conto annuale del Tesoro riferiti al 2019, dai quali risulta che il 2,9% dei medici ospedalieri ha dato le dimissioni; in quell’anno sono usciti dal sistema sanitario pubblico oltre 8mila medici alcuni dei quali per pensionamento.
Con l’arrivo dell’emergenza sanitaria legata al Covid ricomincia la dispersione di medici dal pronto soccorso anche se nel 2020 l’esodo, ha subito una battuta d’arresto grazie al senso di responsabilità, professionalità e quello deontologico dei medici, infermieri e personale sanitario che non hanno voluto far patire il fenomeno sulla pelle dei pazienti; salvare i pazienti ha avuto la precedenza su tutto il resto.
Il 64% dei sanitari ha reputato alto il rischio professionale corso negli ultimi due anni. Per il 69% dei medici la pandemia ha avuto un impatto gravoso sul proprio stress psicofisico, il 55% ha messo a rischio la sicurezza della propria famiglia. Inoltre gli stessi medici ospedalieri ritengono che ad aiutarli in questo difficile momento siano stati amici e familiari, avvertendo una sorta di afflizione istituzionale. Assente quindi, un’efficace attività di welfare sanitario volto al sostegno della categoria; requisito imprescindibile per garantire salute al professionista e all’azienda stessa. Si rendono necessarie misure di welfare più evolute per soddisfare le esigenze dei lavoratori che operano all’interno della struttura per dar loro la possibilità non solo di essere tutelati ma anche di poter meglio conciliare vita/lavoro. Allo stato attuale però, crisi quasi superata, i camici hanno ritentato la fuga portandosi al di sotto dell’organico necessario; mancanti infatti, 2mila medici.
Cosa spinge i medici alla fuga? A quale rischio si va incontro?
Dopo l’esempio che i medici Italiani hanno portato in fase di pandemia la causa non è attribuibile alla carente passione per la professione, alla incapacità di resistenza e resilienza ma a tutto il resto che va dalla considerazione sociale alle retribuzioni, dove gli stipendi sono bassi e i turni massacranti, dall’organizzazione aziendale alle aspettative di carriera, dal carico di lavoro alle responsabilità, all’incuria amministrativa nell’assicurare i diritti del personale, alla scarsa sensibilità nel valorizzare i professionisti.
I sanitari ospedalieri sono costretti a far fronte alle carenze del sistema sacrificando la qualità della propria vita privata poiché costretti a trasgredire la normativa sull’orario di lavoro; alcuni dei quali lavora più di 48 ore a settimana. Eccessivi inoltre, gli atti burocrati a cui devono sottoporre i casi clinici e insufficiente il tempo dedicabile all’ascolto del paziente.
Se non si fa qualcosa per arginare il malcontento dei medici dipendenti del Ssn, il rischio è quello delle corsie deserte dove sarà poi impossibile tutelare la salute di tutti i cittadini eludendo l’art 32 della Costituzione Italiana.
Il caso sta raggiungendo numeri allarmanti e il futuro dell’assistenza è a rischio.
Se sinora a rimboccarsi le maniche sono stati medici e personale sanitario tutto, oggi tocca alla politica farlo attraverso l’apertura di un tavolo di trattative che veda la riorganizzazione ospedaliera nella sua totalità. Il Paese necessita, di una profonda riforma del SSN appropriatamente elaborata e di un finanziamento più appropriato del Fondo Sanitario Nazionale.
Per dare assistenza adeguata ai cittadini e per ottenere un appropriato utilizzo delle risorse ci si deve rifare a funzionali modelli assistenziali territoriali ed ospedalieri ridisegnati per la piena integrazione di servizi. Oltre che apportare al sistema le innovazioni e la digitalizzazione funzionale e adeguata per supportare il personale, creare un’eccepibile sinergia tra professionisti e investimenti nella formazione si rendono necessari interventi in favore della categoria mirati a migliorarne le attuali condizioni di lavoro.
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