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La Dsc (parte VII): Giovanni XXIII e la Pacem in Terris

Il tempo di Roncalli, Giovanni XXIII, non è stato un tempo di pace. E’ nel suo pontificato che nel 1961 nasce il muro di Berlino e nel 1962, a Concilio aperto, si rischia il conflitto nucleare tra Unione Sovietica e Stati uniti sulla questione dei missili a Cuba. Siamo ad appena quindici anni dalla fine della seconda guerra mondiale, dove si sono contati oltre quaranta milioni di persone uccise, e il tema della “pace in terra” diventa il motivo dominante della nuova enciclica del papa buono. La pace e i poveri con Roncalli tornano ad essere luoghi decisivi per una comprensione rinnovata della buona novella e per una testimonianza cristiana vigorosa e mite del Vangelo di Gesù, messia povero e pacifico. La crisi di Cuba avrà un peso non indifferente nella stesura della lettera enciclica. Il papa  rivolgendosi a Kennedy e a Chruscev cosi aveva scritto: “Con le mani sulla coscienza, ascoltino essi il grido di angoscia, che in ogni parte della terra, dai piccoli innocenti agli anziani, dai singoli individui alle comunità sale verso il cielo: pace, pace… Facciano tutto ciò che è in loro potere per salvare la pace: cosi eviteranno al mondo gli orrori di una guerra, di cui nessuno può prevedere le spaventose conseguenze”. La pace è un anelito profondo dell’uomo. Per Giovanni XXIII la stessa legge morale che regola i rapporti tra gli uomini, deve regolare anche quelli tra gli stati. Si afferma il principio di sussidiarietà tra le nazioni come antidoto alle guerre. Con la Pacem in terris, il papa, ormai in condizioni drammatiche di salute, non si sottrae a consegnare alla Chiesa e al mondo questo testo straordinario, che con un colpo di penna cancella più di mille e cinquecento anni di giustificazione della guerra, da Costantino in poi. L’enciclica si conclude con un pressante appello ai cattolici affinchè diventino costruttori di pace. Il punto di partenza sono gli ultimi, dal rispetto di essi occorre partire.

Alfonso D’Alessio

 

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