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LA MADONNA NEL RISO

Di Paolo Lecce

Camminando nell’antica Valle del Riso, incastonata tra i monti e immersa nel verde, è facile incontrare santuari abbandonati. Pieno di ammirazione nel vedere tanta santa bellezza, avanzo lungo i suoi sentieri. Scorgo le maestose montagne che svettano alte, quasi a toccare il cielo, quasi ad accarezzare Dio, sfiorando il mio animo estasiato, parte di quella carezza.

Respiro i profumi di una zona ricca di storia in cui sono rimaste le impronte di vite vissute in dimore ormai abbandonate. Vite fuggite altrove, verso sconosciuti dialetti.

Disseminati ovunque, rimangono borghi piccoli e piccolissimi, oggi abitati dal cuore e dai volti indaffarati di uomini che al massimo possono costituire, in ciascuno di essi, due o tre famiglie.

Sull’uscio di un piccolo Santuario dedicato alla Madonna di Fatima, trovo Cleto, un uomo determinato nella fede e nella vita, amorevolmente attaccato alla sua terra di oggi e di un tempo.

Sorride a me, viandante quasi sperduto alla ricerca del contatto con Dio e in quel volto sorridente si spegne ogni dubbio poiché illuminato dallo Spirito Santo.

I giovani sono scappati in città e non tornano più. Eppure questa è una zona in cui noi siamo nati e cresciuti e in cui i nostri genitori immigrarono. Mia mamma era una mondina di quelle che si immaginano nei racconti dei libri del secolo scorso e frutto passionale del lavoro duro nei campi che venne raccontato da poeti, scrittori e registi”. “Non tornano – continua Cleto con gli occhi umidi di emozione – perché questa zona era ricca e il riso si raccoglieva a mano, ma oggi è tutto meccanizzato e anche la via della lana di Biella è scomparsa, sostituita dai materiali tessili sintetici a scapito di quelli puri. C’è stato anche qui l’avvento della modernizzazione, della globalizzazione e del sintetico. Tutti gli industriali hanno portato via i macchinari all’estero per risparmiare sulla manodopera. Questa zona è ricchissima dei doni della terra, ma nessuno è più disposto a raccoglierli”.

Di domenica mattina, entro nel santuario con rispetto e meditazione. Mi inginocchio davanti la statua della Madonna di Fatima e mi raccolgo in una profonda preghiera.

Il fruscio della veste di un sacerdote mi distoglie dalla mia meditazione. La sua mano sulla mia spalla destra infonde amicizia e benevolenza divine. Mi regala un sorriso colmo di santità: “benvenutosono Don Paolo”.

Chiedo di confessarmi e pur disponendo di un confessionale, il sacerdote giovane e ricco di fede mi fa accomodare fra i banchi della chiesa, così, come si accoglie un pellegrino stanco e sfinito alla ricerca della luce di Dio. La sua semplicità è straordinaria e naturale allo stesso tempo. Mi fa sentire abbracciato da questa comunità così lontana e tanto sconosciuta, a me, che sono solo un turista.

Sento sempre più vicino il rumore festante dei credenti che tra poco entreranno in questa chiesa. Composti e serventi, vestiti di umiltà con abiti premurosi, puliti e profumati, si siedono in attesa della celebrazione. Come si usava un tempo, ognuno con estremo rispetto e devozione.

Cleto, che mi ha accolto all’ingresso e mi ha raccontato un po’ la storia del paese, si congeda da me in tutta fretta scusandosi: “devo scappare perché faccio parte del coro!”.

Pronuncia la frase con la frenesia di un giovinetto al suo primo giorno di scuola che si scuote al trillo della campanella.

Raccolgo con gioia il frutto del mio passaggio, assaporando la magnifica delizia che mi invade nell’animo e canto la gloria del Signore.

Il canto riecheggia, nei fondivalle e in cielo, mentre adorante guardo la Madonna di Fatima, custode del santuario eretta sopra i rovi e fra nuvole lievemente illuminate, raffigurata così come nelle apparizioni intenta a guardare con amore discepoli, credenti e miscredenti accorsi ad incontrarla.

Tutti i paesani compostamente seguono la messa conoscendone a menadito le parole. Il loro mormorio benefico mi rigenera e rinvigorisce.

Trovo Dio in cielo come in terra, nei sorrisi e nelle campagne abbandonate, nelle paludi così come in un chicco di riso. Trovo Dio e non lo lascio più.

Scritto a Formigliana (VC) 23.07.2019 all’aurora.

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