di Giovanna Ferrara, Presidente Unimpresa
Il governo italiano ha annunciato oggi la sua nuova manovra economica per il 2025, puntando su una serie di interventi che mirano a stabilizzare il contesto fiscale e rilanciare la crescita. Tuttavia, la strategia presenta elementi di forte criticità, che richiedono un’analisi più approfondita per comprendere il reale impatto sull’economia nazionale. Tra i provvedimenti più discussi, emerge la decisione di rendere permanente il taglio del cuneo fiscale, per almeno i prossimi cinque anni. Non più legato solo ai contributi previdenziali, il taglio diventa di natura fiscale, alleggerendo direttamente il carico sui lavoratori e lasciando intatte le risorse destinate agli istituti previdenziali. Si tratta di una riforma che potrà, se ben gestita, dare stabilità a lungo termine alle famiglie italiane, rassicurate sulla disponibilità di un reddito più solido nel medio periodo. Un altro pilastro della manovra è la conferma dell’obiettivo delle tre aliquote fiscali. Sebbene l’aliquota più bassa non sia stata ulteriormente ridotta, il governo lascia intendere che vi siano margini di riduzione per il futuro, a patto che le entrate fiscali continuino a crescere. Questo elemento riflette una prudenza strategica, che cerca di bilanciare il contenimento delle spese con l’incremento delle entrate, in una prospettiva di medio termine. Un’area critica della manovra è rappresentata dalla crescita economica, sostanzialmente delegata agli investimenti previsti dal Pnrr. L’esecutivo punta sugli investimenti infrastrutturali finanziati dall’Europa come principale volano di sviluppo economico. Tuttavia, questa scelta è una scommessa rischiosa: l’efficacia del Pnrr dipenderà infatti dalla capacità del Paese di portare a termine i progetti nei tempi previsti e con l’efficienza richiesta. Le difficoltà operative, spesso aggravate da burocrazia e lungaggini amministrative, potrebbero compromettere l’impatto di questi investimenti.
La decisione di imporre un tetto massimo di 80.000 euro agli stipendi dei funzionari pubblici e dei manager delle partecipate ha suscitato forti perplessità. Se da un lato la misura risponde a esigenze di contenimento dei costi, dall’altro rischia di allontanare figure altamente qualificate, essenziali per la realizzazione di progetti strategici, come quelli legati al Pnrr. Una scelta che potrebbe rivelarsi controproducente, se si considera che le competenze specialistiche sono fondamentali per mettere a terra investimenti complessi. Nonostante i segnali positivi in termini di occupazione, la produttività del lavoro in Italia non decolla. Gli ultimi dati mostrano una riduzione delle ore lavorate, il che suggerisce una disconnessione tra il numero di occupati e l’effettiva crescita economica. La crescita modesta, sostenuta quasi esclusivamente dal Pnrr, mette in evidenza un rischio strutturale: senza una maggiore efficienza, l’Italia potrebbe non essere in grado di mantenere un ritmo di sviluppo competitivo.
La manovra economica, dunque, del governo offre spunti interessanti e mostra una direzione chiara verso il rilancio economico, ma resta caratterizzata da incertezze e rischi. La scommessa sul Pnrr, seppur ambiziosa, necessita di una gestione rigorosa e di una riduzione dei vincoli burocratici. Al contempo, il controllo della spesa pubblica, pur giustificato, dovrebbe essere bilanciato con una strategia di attrazione dei talenti e di incentivazione delle competenze necessarie per un’economia moderna. Riuscire a coniugare queste diverse esigenze sarà la vera sfida per il futuro.
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