Il contributo orario, pari a 4 euro, del sussidio di emergenza ingloba anche il rateo della “retribuzione di Natale”. Brutte sorprese, dunque, per i lavoratori: la Cassa Covid farà perdere a milioni di dipendenti i quattro quinti degli importi delle 13me mensilità. La mappa degli oneri nascosti per le imprese legati agli indennizzi legati al Coronavirus: un lavoratore in Cig-Covid costa 500 euro al mese alle aziende. Confronto internazionale: divieto di licenziamento solo in Italia, ma con la Naspi i dipendenti licenziati avrebbero ottenuto un assegno più alto alto, il 75% dello stipendio contro il 50% della Cig. Il consigliere nazionale Assi: «Sussidio co-finanziato in maniera occulta e robusta dagli imprenditori»
Con la Cig-Covid, le tredicesime saranno tagliate, nei loro importi, fino all’80%: il contributo orario di 4 euro, pagato dall’Inps, ingloba, infatti, anche il rateo della retribuzione di Natale. Brutte sorprese, dunque, per i lavoratori: la “Cassa integrazione Covid” farà perdere a milioni di dipendenti i quattro quinti degli importi delle 13me mensilità. È quanto segnala il Centro studi di Unimpresa, in un documento nel quale spiega, inoltre, che costa fino a 500 euro al mese, per un’azienda, un lavoratore posto in “Cig-Covid”. Il balzello a carico delle imprese, che oscilla da 401 a 498 euro, è la somma di una serie di oneri, più o meno nascosti: contributo aggiuntivo previsto dal “decreto agosto”, proporzionale alla perdita di fatturato, per le imprese che sospendono l’attività; finanziamento ordinario ammortizzatori sociali; accantonamento integrale del trattamento di fine rapporto oltre al pagamento di anzianità di servizio, scatti di anzianità e periodo di comporto. un lavoratore che in un mese usufruisce di 160 ore di cassa integrazione, con una retribuzione annua lorda di 25.000 euro, comporta, per un’azienda, un costo che varia da 401,87 euro a 498,67 euro. Quanto alla tredicesima mensilità, non è mai stato chiarito che il contributo orario “Cig Covid”, pari a poco più di 4 euro, comprende anche il rateo della retribuzione di Natale. «Le nostre aziende, con la fine dell’anno, quando si siederanno per tirare la linea di questo terribile 2020, scopriranno quello che nessuno gli ha mai realmente detto ovvero che oltre all’imposizione decisionale in casa propria, cioè il divieto di licenziare, vi è anche l’imposizione di sostenere dei costi perché il sussidio alle famiglie in realtà non è a carico dello Stato, ma è cofinanziato in maniera robusta dalle nostre imprese che da ormai nove mesi non riescono a riaprire neanche le loro porte» commenta il consigliere nazionale di Unimpresa, Giovanni Assi.
Secondo Unimpresa, il divieto di licenziare non solo è contrario alla volontà delle aziende – che si vedono precluse una opzione fondamentale per far fronte alle emergenze economiche – ma è anche controproducente, sul piano economico, per i lavoratori che, non di rado, avrebbero preferito accede al sussidio già esistente: la Naspi, peraltro, garantisce un “assegno” mensile pari al 75% della retribuzione contro il 50% della cassa integrazione “Covid”. Non solo: mentre la Naspi viene pagata con regolarità ogni mese, assicurando, così, continuità finanziaria ai lavoratori e alle loro famiglie, la Cig Covid sconta ritardi di 4-5 mesi.
Il documento di Unimpresa passa, poi, in rassegna le misure adottate nei vari paesi europei: «In tutti i grandi Paesi europei esistono aiuti di Stato simili ai nostri, con la differenza che spetta all’azienda la scelta se fruirne o licenziare il personale per alleggerire i costi» spiega Assi. Ecco i dettagli del confronto internazionale: in Germania a vietare i licenziamenti non ci pensano proprio: è prevista una sorta di cassa integrazione che copre tra il 60 e il 67% dello stipendio netto per le ore ridotte (in Italia siamo al di sotto del 50%); anche in Olanda di blocco ai licenziamenti non se n’è mai parlato ed il governo scoraggia i licenziamenti offrendo sussidi a chi ne possiede i requisiti rimborsando parte degli stipendi dei lavoratori; nel Regno Unito non vige alcun divieto di licenziamento e, in via del tutto eccezionale, da marzo esiste il “furlough”, una sorta di periodo di aspettativa non retribuita del lavoratore che riceve un sussidio dallo Stato; anche in Francia non è stato introdotto e un vero e proprio divieto di licenziare, ma piuttosto si punta a negoziare accordi collettivi per la modifica dei termini del rapporto di lavoro in cambio dell’impegno a non licenziare, la riduzione degli stipendi del management e il divieto di distribuire dividendi agli azionisti. «In Italia, unico caso fra i maggiori paesi europei, è stata imposta una soluzione dirigista che ha solo rimandato – peraltro parzialmente, visto il calo di 600.000 occupati già registrato – l’emorragia futura di posti di lavoro. Non è stata la strada giusta e il governo ha perso l’ennesima possibilità di confrontarsi con le parti sociali, i sindacati, le imprese e i professionisti per trovare soluzioni meno dolorose per tutti» aggiunge il consigliere nazionale di Unimpresa. «Abbiamo tante volte contestato l’imposizione al limite dell’incostituzionalità del divieto di licenziamento dato senza se e senza ma alle nostre aziende e soprattutto ai loro lavoratori. Il governo ha dimostrato in questo provvedimento tutta la sua cecità nel non voler vedere soluzioni alternative che potessero portare soddisfazione comune alle aziende, alleggerendo la Cig-Covid di costi occulti, e ai lavoratori, dando loro un sostegno dignitosi al posto dei 4 euro l’ora dati a distanza di quattro mesi» osserva ancora Assi.
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