Rischio flop per gli sgravi contributivi “gender”. L’esonero contributivo dell’1% della contribuzione datoriale fino a 50.000 euro annui corre il rischio di diventare un beneficio per pochi intimi (al 31 dicembre 2022 risultano certificate appena 171 imprese in tutta Italia e sono tutte grandi aziende). Tale restrizione è cagionata dalle stringenti tempistiche imposte e che avevano il 31 dicembre 2022 come scadenza per conseguire la certificazione della parità di genere. Tempi che, per molte aziende, soprattutto quelle meno grandi e strutturate, sono proibitivi in quanto per reperire tale certificazione stanno riscontrando non poche difficoltà considerando che le stesse si stanno rivolgendo agli organismi di certificazione (sono appena 18) che hanno avviato l’iter di certificazione ma che prevede ovviamente fasi di audit lunghe e farraginose, il risultato è che la stragrande maggioranza delle pmi non otterrà la certificazione della parità di genere entro il 31 di questo mese perdendo così l’esonero contributivo ovvero fino a 50.000 euro. A conferma delle tempistiche davvero ristrette che le aziende hanno avuto a disposizione, è opportuno ricordare che, come lo Inps ha ricostruito nella circolare 137 del 2022, la parità di genere, così come l’esonero contributivo a questo collegato, hanno avuto una lunghissima gestazione normativa poiché sono stati adottati prima il decreto legge 29 aprile 2022 con la definizione dei parametri minimi per ottenere la certificazione e, solo il 20 ottobre, il decreto lavoro-finanze ha dettato la disciplina di dettaglio dell’esonero contributivo. «Deve essere immediatamente prorogato il termine di scadenza al fine di consentire a tutte le aziende aventi diritto di beneficiare della misura in questione che ovviamente in un anno delicatissimo come è stato questo 2022 può essere certamente un piccola boccata d’ossigeno» commenta il consigliere nazionale di Unimpresa, Giovanni Assi.
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