di Giovanni Assi
I datori di lavoro e soprattutto i loro lavoratori speravano di aver ricevuto un boccata d’ossigeno dal nuovo decreto agosto con la proroga del periodo di cassa integrazione per emergenza Covid – 19 ma in realtà stanno scoprendo che invece di ossigeno non ne arriva affatto.
E così si scopre che le agevolazioni per le nuove assunzioni nelle aree svantaggiate non partono adesso ma solo da ottobre, che se decidi di non utilizzare la cassa integrazione al momento optando per la riduzione contributiva (di cui le modalità di fruizione sono più di un rebus) si “castrano” per tutto il futuro non potendo più ricorrere all’ammortizzatore sociale in caso di future restrizioni, che anche se non ho mai utilizzato la cassa integrazione a maggio e a giugno comunque non puoi licenziare fino a fine anno, che mancano centinaia di decreti attuativi per rendere pienamente operative le misure previste, ecc. ecc.
Ma la più spiacevole scoperta è stata che, la tanto pubblicizzata proroga degli ammortizzatori sociali si è scoperta essere per molte aziende italiane una bufala in quanto si sono ritrovate (con un messaggio INPS “silenziosamente” uscito il 21 agosto 2020, il n. 3131) a dover “decurtare” da queste presunte nuove settimane quelle già di loro competenza e che un precedente decreto gli aveva già attribuito.
Per spiegarci meglio, se un’azienda si trovasse in cassa integrazione, ad esempio dal 13 luglio al 28 agosto (situazione diffusissima nella quasi totalità delle aziende artigianali ed industriali), bene questa azienda (e sopratutto i loro lavoratori) si vedrebbe “inglobate” queste 7 settimane nelle prime 9 concesse dall’art. 1 del decreto-legge n. 104/2020 e pertanto in realtà gli si stanno concedendo solo 2 settimane oltre alle successive 9 di cui invece vi è uno scandalo ancora più grosso: ma come si può parlare di cassa integrazione COVID-19 e poi si chiede alle aziende di contribuire fino al 18% delle retribuzioni? Come può pensarsi che un’azienda piegata da mesi ed a cui viene imposto di non licenziare, venga imposto anche di contribuire a quello che dovrebbe essere un aiuto concesso dal Governo con dei soldi propri? Che differenza allora vi sarebbe tra la Cassa Integrazione Ordinaria, quelle che le aziende finanziano mensilmente attraverso il pagamento dei contributi ordinari dei propri dipendenti, rispetto alla cassa integrazione COVID-19? Al contrario sarebbe addirittura più conveniente il trattamento Ordinario senza nessun aiuto del Governo se consideriamo che il contributo richiesto per il trattamento a regime previsto dall’art. 5 del D.Lgs. 148/2015 è del “solo” 9% per le prime 52 settimane, e l’aiuto allora dov’è?
Le aziende, i lavoratori, i loro professionisti, chiedono da tempo chiarezza e sopratutto aiuti tangibili e duraturi, che possano avere reale effetto sulle imprese e sulle famiglie per un concreto rilancio della nostra economia, ci si trova invece sempre di fronte a provvedimenti “tampone” che nascondono insidie e solo mezze verità e che di fatto hanno l’unico risultato di veder ridotta l’occupazione a fine 2020 tra il 5% ed il 7% e di veder cessare l’attività di oltre 90 mila imprese.
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