di Sabrina Grisoli
La vicenda da cui prende spunto questo articolo non sembra avere elementi di novità rispetto alle tante storie di stalking che affollano i quotidiani e le pagine dei social network: è molto frequente, infatti, che gli atti persecutori trovino la loro origine nell’ambito condominiale, dove rapporti logori ed esausti tra gli abitanti costituiscono terreno fertile per l’attuazione di minacce e molestie reiterate. Ma il caso specifico, accaduto nel 2015, presenta delle peculiarità che meritano di essere analizzate.
IL CASO
Un anziano residente di un condominio di Ferrara aveva deciso di lottare, a modo suo, contro un’attività commerciale (albergo con annesso bar) sita nell’edificio. Questi riteneva che l’albergo e il bar non fossero in regola con i permessi e le autorizzazioni, e che l’attività irregolarmente esercitata potesse costituire un pericolo per sé e per gli alti condomini.
Il combattivo inquilino ha iniziato allora a porre in essere tutta una serie di atti di danneggiamento, minacce e molestie ai danni dell’esercente dell’attività commerciale (deturpava gli specchi dell’ascensore scrivendovi con il pennarello frasi ostili e minacciose, quali: “Attenzione, qui c’è uno stalker”, manometteva le fotocellule del portone scorrevole a vetri per farlo restare sempre aperto).
Inoltre, ha presentato una lunga serie di esposti e denunce-querele alle autorità, nelle quali esponeva gli illeciti che riteneva fossero stati compiuti e chiedeva che venissero presi dei provvedimenti.
Contrariamente a quanto si aspettava, invece, è stato lui oggetto di indagine da parte delle autorità (nel frattempo, infatti, la proprietaria dell’albergo aveva sporto denuncia nei suoi confronti) ed è partito a suo carico un procedimento penale per i reati di danneggiamento e atti persecutori.
LA DECISIONE DEL GIUDICE
All’esito dell’Udienza Preliminare il GUP di Ferrara non ha avuto dubbi nel ritenere che le condotte poste in essere dall’anziano integrassero il delitto di cui all’art. 612 bis c.p., atteso che, oltre che al carattere minaccioso e molesto che connotava le azioni, sussistevano anche gli eventi tipici del reato, come l’aver cagionato nella vittima un perdurante e grave stato di ansia o di paura ed averla costretta a modificare le proprie abitudini di vita.
Ma il Giudice non ha tratto le stesse conclusioni in ordine ad altra parte della prospettazione accusatoria.
Il Pubblico Ministero aveva qualificato come atti persecutori anche la reiterata presentazione alle Autorità di esposti e denunce da parte del condomino dissenziente, “che hanno costretto la titolare ad una lunga e costosa vertenza giudiziaria”, individuando perciò in tale circostanza uno degli eventi del reato.
Il Gup ha però bocciato la tesi della Procura che aveva configurato di fatto uno “stalking giudiziario”, basando tale decisione sulla circostanza che l’indagato ed il suo avvocato non avrebbero messo in atto fatti inquadrabili nel delitto di stalking, atteso che con la proposizione delle denunce e degli esposti stavano solo esprimendo un loro diritto, cioè quello di contestare davanti ai giudici la regolarità di quell’attività.
LE MOTIVAZIONI ADDOTTE
Ciò che qui ha ostato all’accoglimento della tesi del Pubblico Ministero è stato il fatto che la Pubblica amministrazione avesse trovato fondate le rimostranze dell’inquilino dello stabile.
Infatti, il Comune aveva emesso molteplici ordini di chiusura dell’attività del contestato bar. Poiché però la titolare non aveva mai adempiuto a tali ordinanze, avvalendosi di un escamotage burocratico, il locale continuava a rimanere aperto pur se era ormai manifesta l’irregolarità che lo gravava, determinando così l’inquilino ad agire per le vie più immediate che sono state sopra descritte.
Ma cosa sarebbe accaduto se invece le denunce fossero risultate infondate?
La decisione sopra riportata, seppure nel caso specifico neghi la configurabilità di uno stalking “giudiziario”, di fatto non esclude in via definitiva che la reiterata presentazione di denunce, querele, esposti a danno di un soggetto possa integrare il delitto di atti persecutori.
Ai fini della configurabilità del reato, dovrà valutarsi innanzitutto se lo strumento giuridicamente lecito della denuncia, della querela o dell’istanza possa integrare l’elemento materiale del reato di atti persecutori, atteso che questo è costituito da minacce o molestie reiterate che abbiano come effetto quello di cagionare nella persona offesa un grave e perdurante stato di ansia o paura, il fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto, o l’essere costretto ad alterare le proprie abitudini di vita.
La fondatezza o meno delle denunce, essendo un elemento esterno al reato, non può a parere della scrivente essere pertanto presa in considerazione ai fini della sua configurabilità.
Il discrimine deve essere allora ricercato altrove, cioè sul versante dell’elemento psicologico del reato.
Ciò che potrebbe trasformare una giuridicamente lecita rimostranza in un atto rilevante alla stregua del delitto di atti persecutori, sarebbe la volontà di servirsene per scopi estranei alla sua natura. Cioè, strumentalizzando la denuncia non per far valere un proprio diritto, bensì con la consapevolezza di utilizzare tale strumento per molestare la vittima cagionando in capo a questa l’insorgenza di uno dei tre tipi di stati emotivi che costituiscono l’evento del reato.
SENZA ANDARE TROPPO OLTRE CON L’IMMAGINAZIONE, CONSIDERINO I LETTORI QUESTO CASO REALMENTE ACCADUTO
Gli inquilini di due appartamenti in colonna di un vecchio stabile diventano protagonisti di una decennale causa civile quando l’occupante del piano di sopra cita in giudizio l’inquilino dell’appartamento sottostante, accusandolo di aver posto in essere interventi di manutenzione sui tubi di scarico delle acque nere, a causa dei quali la sua casa è pervasa da cattivi odori.
Il Tribunale Civile di Roma, dopo aver espletato CTU sul sistema di scarico del condominio, ha statuito con sentenza non impugnata e, quindi, divenuta irrevocabile in primo grado, che i tubi non erano stati modificati a seguito dei lavori di manutenzione effettuati dal condomino convenuto in giudizio, bensì, stando alle piante e mappe dello stabile, il loro stato attuale era lo stesso che avevano ab origine.
E’ a questo punto che la vita del condomino vincitore diventa un inferno: per i successivi 15 anni è stato vittima di ogni sorta di attacco stragiudiziale da parte del vicino. Questi si recava in continuazione presso la ASL di zona, la Polizia Municipale, nonché altri Uffici territoriali, esponendo loro i fatti che avevano dato origine alla causa civile (e tacendo ovviamente che fosse intervenuta una sentenza).
Complice il tipico isolamento di ogni articolazione amministrativa dalle altre, le suddette autorità hanno inviato al povero condomino ingiustamente accusato ogni sorta di comunicazione, avviso, preavviso di accesso: questi si è inoltre più volte trovato alla porta ispettori e tecnici del Municipio che pretendevano di entrare, minacciando altresì l’intervento della Forza pubblica.
Naturalmente, ad ogni cambio dei vertici o semplicemente degli uffici, il persecutore rimetteva in essere il suo piano, riattivando così la macchina della Pubblica Amministrazione ai danni del vicino che inerme non poteva far altro che inviare raccomandate e diffide alla ASL e alle altre articolazioni territoriali interessate, esponendo le sue ragioni e sopratutto allegando la sentenza sul caso che lo affermava vincitore!
Inutile dire che tale situazione aveva ingenerato nel povero condomino torturato una condizione perenne di ansia e di depressione: ogni giorno della sua vita passava nella speranza che tra la posta non gli fosse recapitata anche una missiva dell’ufficio di igiene. Ogni squillo del citofono poteva significare l’ennesima visita della Polizia Municipale.
E’stata solo l’avanzata età dello stalker (che ad oggi ha 95 anni!) a trattenere la sua vittima dall’intraprendere azioni legali ai suoi danni, ma non vi è dubbio che in un caso come questo è assai arduo sostenere che gli esposti reiteratamente presentati all’Autorità non integrino la condotta del delitto di atti persecutori.Qualora invece le pretestuose denunce del persecutore ai danni del vicino avessero avuto ad oggetto fatti annoverabili tra fattispecie delittuose, avrebbe senz’altro trovato applicazione l’art. 368 c.p. (calunnia), in base al quale è punito: “Chiunque, con denuncia, querela, istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità giudiziaria o ad altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato”.
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