di Carmelo Gangi (Presidente Giovani Imprenditori Unimpresa)

Entrare in Unimpresa in un momento così particolare da la consapevolezza e di non essere soli nella lotta che ogni giorno accompagna ogni imprenditore e i suoi rappresentanti. La pandemia  sta generando una sensazione di instabilità e abbandono da parte delle istituzioni molto prepotente, nelle parole dei titolari di partita iva si percepisce la paura per il futuro.

 L’Italia non era ancora uscita dal limbo della crisi economica iniziata nel 2009 dopo lo scoppio della bolla  finanziaria innescato dal fallimento della Goldman Saschs la più grande banca di affari in qui tempi. Da quel giorno in poi le vite ditti sono cambiate e con la caduta del governo allora capitanato da Silvio Berlusconi e l’instaurazione del governo tecnico di Monti le imprese Italiane non ebbero più la protezione delle istituzioni. 

Fare impresa al giorno d’oggi è qualcosa di eroico perché è difficile lottare contro la crisi e contro un sistema fatto di burocrazia e sanzioni. I governi che si sono susseguiti dal 2011 in poi hanno fatto solo manovre in deficit gravando sulle imprese nel tentativo di ridurre il debito nei confronti della BCE e ridurre l’impatto sociale di una classe media sempre più povera. 

L’attuale crisi sanitaria indebolisce ulteriormente l’umus delle partite iva già provate dalla prima crisi economiche e la seconda  scaturita dalla situazione sanitaria causerà la chiusura definitiva di oltre il trenta per cento delle attività, incrementando ulteriormente la gravosità di un periodo ancora troppo difficile. 

Chi lavora nel campo delle aziende sa molto bene che proprio nei periodi difficili è importante trovare il coraggio di investire per tornare a crescere. 

Il mondo è sempre più globalizzato e i grandi attori del mercato sono avvantaggiati nella lotta della conquista dei mercati, il nostro paese è da sempre stato un paese fondato sulle piccole eccellenze, perché il lavoro artigianale è sinonimo di qualità bisogna fare pressione sul governo perché torni a rispettare il lavoro del suo popolo fatto di passione, sudore e sogni e bisogna intervenire per mettere le nostre piccole realtà in grado di competere con i grossi corpi internazionali. 

La furia ideologica degli ultimi governi ha colpito violentemente il mondo del lavoro non si sono resi conto che distruggendo le piccole imprese hanno perso di colpo molti posti di lavoro che con le produzioni dei colossi sempre più terziarizzate nei paesi in via di sviluppo sarà difficile recuperare. 

Piccola impresa vuol dire anche buon lavoro e soprattutto lavoro ben pagato, perché il piccolo imprenditore i suoi dipendenti li conosce per nome e cognome e per lui sono famiglia, e alla crescita della propria azienda cresce anche la posizione dei suoi lavoratori. Salvare le piccole imprese deve essere un obbiettivo comune. 

Non credo nei complotti internazionali.  Joswph Stiglitz premio Nobel per l’economia nel 2001 nel suo libro la globalizzazione i che funziona spiega come questa sia la principale causa degli scompensi socio economici. La sua collaborazione con i principali organi istituzionali e le critiche da lui avanzate nei confronti di queste rendono i suoi scritti molto interessanti. Stiglitz dal 1995 al 1997 assume il ruolo di presidente dei consiglieri economici nell’amministrazione Clinton (1993-2001) e dal 1997 al 2000 viene nominato senior vice president e chief economist presso la Banca Mondiale. Dopo quest’ultima esperienza l’economista manda in stampa la sua prima opera intitolata “la globalizzazione e i suoi oppositori”, in questo libro l’autore demolisce il concetto per il quale il libero commercio favorisca l’aumentare del benessere ma anzi che queste istituzioni non solo non abbaino delle reali politiche programmatiche per lo sviluppo dei paesi più poveri ma addirittura contribuiscano ad aumentare le disuguaglianze socioeconomiche. Mentre nel suo primo testo demolisce le principali politiche dettate delle istituzioni per le quali ha lavorato nel suo secondo lavoro la globalizzazione che funziona affronta il tema allargando la sua analisi rimarcando gli errori strutturali e ideologici che di fatto hanno portato al fallimento della globalizzazione come processo di ridistribuzione della ricchezza. Focalizzandosi su temi più complessi come la salvaguardia del pianeta, il valore dell’etica dei processi economici e con un ottica più positiva è possibile pensare a un idea di globalizzazione più democratica. Secondo Stiglitz il processo di democratizzazione della globalizzazione è l’unico sistema capace di trasformare il regime economico internazionale in un sistema più equilibrato che possa ridistribuire le risorse e garantire una condizione di benessere per tutti, dai paesi più industrializzati ai paesi in via di sviluppo. 

Dopo la grande depressione degli anni 30 e  la seconda guerra mondiale con lo scopo di stabilizzare l’economia globale fu progettata e realizzata la realizzazione di due istituti sovranazionali, La banca mondiale e il fondo monetario internazionale nati nel 1944 a Bretton Woods, nel New Hampshire, Usa. L’FMI avrebbe dovuto favorire i paesi in via di sviluppo regolando la convivenza economica dei diversi paesi mentre la sua storia specialmente dagli anni 70 ha messo in evidenza qualcosa di completamente diverso. Le politiche di questo organismi sono invece espressione della volontà espansionistica economica dell’America e non organi di garanzia di equilibrio economico globale, un esempio il presidente della banca Mondiale è nominato direttamente dal presidente USA e l’unico paese con diritto di veto è sempre e solo lo stesso. I tre principi basi di queste agenzie sono liberalizzazione, deregolarizzazione e ridimesionamento dell’intervento pubblico. 

Secondo queste agenzie un aumento del PIL corrisponde direttamente a un aumento della ricchezza media della popolazione, infatti se misuriamo dati alla mano anche i dati di paesi più industrializzati la ricchezza media della popolazione paragonata al PIL possiamo constatare che ci sono forti disuguaglianze economiche e insufficiente suddivisione delle ricchezze anche in questi paesi, come ad esempio l’America latina e l’st Asiatico. 

Se osserviamo paesi dove sono stati adottati modelli economici di Washington Consensus possiamo notare forte instabilità se non vera propria crisi come per esempio la Russia, se invece osserviamo l’andamento economici di paesi dove lo sviluppo è stato progettato secondo le esigenze socio-politiche del territorio possiamo notare tenori di vita e standard di benessere più adeguati, quindi il benessere di un paese non può essere misurato solamente su base economica ma soprattutto su base sociale. Possiamo dedurre a questo punto che una regolamentazione dei mercati tenendo conto di realizzare un equilibrio economico tra le popolazioni possa in realtà fare bene all’economia. Per questa ragione processi di sviluppo economico basati su modelli economico-finanziari del Washington Consensus andrebbero riprogettati secondo prospettive non unilaterali, quindi una globalizzazione più giusta e meno sul modello americano sarebbe una prospettiva più positiva per l’economia globale. 

Il problema Italiano è dettato dal fatto che negli anni la politica è diventata sempre di più un mestiere e i politici per professione non hanno le capacità e l’esperienza per guidare il paese fuori dalle crisi, la politica attuale è basata sempre di più su diffamazione degli avversari e sull’erogazione di marchette elettorali nel tentativo di acquistare consenso. Ma l’essere totalmente impreparati li rende facilmente influenzabili dalle principali agenzie di commercio internazionale e totalmente cechi sul fatto che la strada che si sta seguendo è un tunnel senza uscita. Il virus è sicuramente un pericolo terribile ma ancora più pericoloso è il totale distaccamento della classe dirigente dai problemi reali. 

Oggi più che mai lo scenario politico ha bisogno di gente che lavora e gli organi di rappresentanza devono diventare parte integrante della politica perché portatori delle necessità delle aziende Italiane unica vera speranza per il nostro paese.

 Questa consapevolezza ha accompagnato la mia esperienza associativa da quando ero dirigente di territoriale di altre associazioni alla nascita di Impresa Azzurra associazione di cui sono uno dei soci fondatori e presidente dal 2017. Nella nostra Nazione, probabilmente guidati dal periodo difficile e dal malcontento sempre più nuovi gruppi stanno nascendo nel paese che stanno manifestando il malcontento nelle piazze ma un altro aspetto indispensabile che ho imparato è che l’unione fa la forza, essere uniti vuol dire essere più grandi e questa verità mi ha spinto ad accettare il vostro invito a confederarci alla vostra associazione con la certezza che questo è l’unico cammino possibile e oggi l’appello deve essere forte anche per tutti gli altri gruppi e le imprese del territorio.

 Fare rete per tornare a essere protagonisti in Europa e nel Mondo!

Ufficio Stampa Unimpresa
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