Spazio ai giovani e ai nuovi brand della moda tricolore: occorre investire sulle nuove generazioni per rilanciare concretamente il made in Italy. E poi: rivedere le regole volte a una maggiore tutela dei marchi per arginare la contraffazione, introducendo in Italia il sistema Nft, un token che garantisce a qualsiasi prodotto una identità unica; assicurare più diritti per i lavoratori, mettendo la parola fine allo sfruttamento; valorizzare artigianato e manodopera di qualità; . Queste le richieste presentate dal consigliere nazionale di Unimpresa, con delega di ambasciatrice della moda nel Mondo, Margherita de Cles, nel corso dell’incontro di lunedì scorso al ministero delle Imprese e del made in Italy. «L’Italia è il terzo paese al mondo per export e con un rilevante quantitativo di marchi venduti a società finanziarie estere. Il valore del made in Italy è estremamente importante e, pertanto, è necessario creare le condizioni per valorizzare tutto il potenziale inespresso, dando spazio ai giovani e ai nuovi brand. Del resto, molte aziende di alta moda italiane sono state vendute a gruppi stranieri negli ultimi anni: Versace al gruppo americano Kors, Valentino al gruppo del Qatar Mayhoola for Investments e poi Loro Piana, Fendi, Pucci e Acqua di Parma al gruppo di Arnaud, La Perla agli olandesi di Sapinda, il colosso Yoox Marchetti ha venduto Yoox-net-à-porter a un’azienda svizzera, Gucci a Kering» ha aggiunto il consigliere di Unimpresa. Durante il tavolo della moda al ministero, Margherita de Cles ha fatto leva, in particolare, sul fatto che il made in Italy, oggi, è al settimo posto in termini di reputazione tra i consumatori di tutto il mondo e, secondo una rilevazione di Kpmg, “made in Italy” è il terzo marchio al mondo per notorietà dopo Coca-Cola e Visa.
Secondo il consigliere nazionale di Unimpresa, inoltre, «serve una riforma delle regole volta a tutelare i marchi made in Italy, arginando i fenomeni di contraffazione e di illecita riproduzione che ingannano il consumatore finale. C’è da chiedersi cosa si possa davvero considerare made in Italy: la finanza, il design, il marchio italiano venduto a un fondo cinese che delocalizza. È poi necessario controllare la trasparenza del ciclo produttivo, implementando anche in Italia la diffusione del Non fungible token (Nft), uno strumento anticontraffazione che crea un’identità non replicabile, non modificabile e unica di un prodotto: si tratta di un sistema già diffuso in paesi all’avanguardia come Gran Bretagna, Olanda e Belgio». Durante la riunione, il consigliere di Unimpresa ha avanzato la richiesta di assicurare più diritti alla forza lavoro perché «molte aziende, in Italia e all’estero, sfruttano i dipendenti».
Altro tema affrontato, quello dei maestri artigiani e delle eccellenze creative che vanno consolidate assicurando incentivi ai giovani, favorendo la scoperta di alcuni mestieri poco ricercati e valorizzati. «C’è il forte bisogno di tramandare e salvaguardare la manodopera che realizza con le proprie mani un valore di eccellenza grazie alle proprie competenze ed estro. Questo patrimonio si sta perdendo con lo scomparire dei sarti delle botteghe. Fare made in Italy non si limita alla realizzazione, a esempio, di un capo d’abbigliamento, ma creare bellezza grazie al lavoro manuale e alla forza creativa che fa parte del saper fare italiano. Dare valore al comparto moda con delle figure di spicco come è stato fatto nel campo dell’architettura con Renzo Piano e musicale con Riccardo Muti sarebbe molto utile. La formazione, grazie anche al contributo di mostri sacri della moda come Armani o Miuccia Prada, è l’elemento principe per la realizzazione, comprensione e condivisione di un made in Italy autentico. Saranno i giovani italiani o italianizzati che hanno il compito di tramandare questo patrimonio e mettere da parte carriere apparentemente più stimolanti e con l’illusione di un lavoro sicuro. Non è un caso che Dior abbia scelto la Puglia per le sue produzioni. Tutte le eccellenze sono al Sud e vanno valorizzate e alzate di livello» ha detto de Cles.
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