di Mariagrazia Lupo Albore, Direttore generale Un’impresa
Solo pochi anni fa, fosse anche solo un decennio, nessuno avrebbe osato immaginare scenari come quelli che oggi ci troviamo davanti. Poste Italiane pronta a rilevare una parte strategica di Tim, il cuore delle telecomunicazioni del Paese. E, sul fronte bancario, Mps – il Monte dei Paschi di Siena – che lancia un’offerta pubblica di scambio su Mediobanca, icona del salotto buono della finanza italiana. L’effetto è straniante. Il mondo si è capovolto. O, più probabilmente, siamo noi ad aver sottovalutato la forza dei cambiamenti in atto, e l’inerzia del passato a cui ci siamo aggrappati troppo a lungo.
Partiamo dal primo paradosso. Poste che si appresta ad acquisire la rete mobile di Tim. Non è soltanto un’operazione industriale rilevante, né semplicemente la continuazione del disfacimento controllato dell’ex monopolista telefonico. È la rappresentazione plastica di un’inversione di ruoli: l’azienda postale, una volta simbolo della burocrazia lenta e del servizio pubblico inefficiente, è oggi uno dei gruppi più solidi, digitalizzati, dinamici del Paese. Mentre Tim, già orgoglio nazionale e baluardo tecnologico, è diventata una nave alla deriva, zavorrata dai debiti, dai troppi cambi di timone, dalle interferenze pubbliche e private che ne hanno minato l’identità industriale. È curioso, e insieme emblematico, che sia proprio Poste – che negli anni ha saputo valorizzare il proprio capitale umano, modernizzare la rete e diventare attore di primo piano nel risparmio gestito e nei servizi digitali – a prendersi carico di un pezzo dell’ex gigante telefonico. Un passaggio di consegne tra due mondi che si sono scambiati di posto nella narrazione economica del Paese. L’impresa “vecchia” che diventa nuova, e quella “nuova” che si è logorata sotto il peso delle promesse mancate e dei troppi salvataggi.
E poi c’è il secondo caso, ancora più eclatante. Il Monte dei Paschi di Siena, dopo anni passati in rianimazione, sostenuto da flebo pubbliche e da una travagliata operazione di risanamento, ora tenta di conquistare Mediobanca. È difficile trovare un’immagine più simbolica di quanto sia mutato l’orizzonte bancario italiano. Una banca che fino a poco tempo fa veniva tenuta in piedi a fatica, oggi ambisce a inglobare un pezzo pregiato della finanza nazionale. Mps, banca più antica del mondo, a lungo considerata un fardello da privatizzare in fretta e furia, è tornata ad avere una forza patrimoniale e una redditività tali da poter guardare con ambizione al futuro. Anche grazie a una gestione rigorosa e a una silenziosa ma efficace opera di risanamento. Mediobanca, dal canto suo, non è più il crocevia delle partecipazioni incrociate che tenevano in equilibrio il capitalismo familiare italiano. Ha mutato pelle, si è fatta più snella e orientata al wealth management, ma non ha più l’aura sacrale di un tempo. E così, in questo scenario che confonde il passato con il presente, assistiamo a una mossa che – se non fosse vera – sembrerebbe partorita da una penna satirica.
Il mondo al contrario, dicevamo. Dove chi era debole diventa forte, e chi sembrava intoccabile scopre fragilità inaspettate. Ma forse il vero insegnamento non è che il mondo si sia capovolto. È che la realtà è sempre più fluida delle nostre convinzioni. I dogmi della finanza e dell’economia, come quelli della politica, durano lo spazio di una stagione. E l’unico modo per comprenderla – questa realtà così cangiante – è non dare mai nulla per scontato. Né la forza dei deboli, né la debolezza dei forti. La storia di Poste e Tim, come quella di Mps e Mediobanca, racconta anche questo: la resilienza delle imprese che sanno cambiare pelle, la rovina di quelle che restano ancorate ai miti del passato. E ci ricorda, infine, che in economia – come nella vita – nulla è più pericoloso della presunzione di permanenza. Chi resta immobile, anche se in cima, finisce prima o poi per cadere. Chi invece ha il coraggio di trasformarsi, può anche arrivare a sorprendere. O, addirittura, a scalare l’Olimpo.
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