di Leonardo Baiocco
Come rappresentante delle figure professionali della sicurezza privata italiana in UnimpresaPol – Federazione Nazionale di categoria per i Servizi Investigativi, Vigilanza e Security, Federazione, figure professionali tra quelle più a rischio nella quotidianità del proprio lavoro, quest’estate mi sono fermato a pensare alle morti bianche, toccato anche dalle notizie delle morti sul lavoro degli ultimi mesi. A volte, accade di rendersi conto che siamo tutti coinvolti in uno stesso problema, e che per affrontare una questione come quella della sicurezza sul lavoro dobbiamo agire collettivamente, come società. Ho pensato di scrivere un articolo che riflettesse questo senso d’urgenza.
Nonostante i passi in avanti che si sono fatti negli ultimi decenni in Italia in quanto a miglioramento della legislazione sulla sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro, sul tema si ha sempre la percezione che il nostro paese rimanga un passo indietro. E che i politici siano sordi al problema, salvo poi ricordarsene inviando comunicati stampa occasionali quando avvengono le puntuali tragedie che riempiono le pagine della cronaca nera. Perché dal 2015, i morti sul lavoro ogni anno sono più di mille.
Lo scorso 28 aprile si è celebrata la Giornata internazionale della sicurezza e la salute sul lavoro, promossa dall’ILO, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, in occasione della quale si è tenuto un Webinar Globale dal nome “Anticipare ed essere pronti a rispondere alle crisi. Investire in sistemi resilienti di salute e sicurezza sul lavoro” rilanciato sulla pagina ufficiale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. E nemmeno una settimana dopo Luana D’Orazio, operaia di 22 anni in una piccola azienda del comparto tessile a Oste di Montemurlo in provincia di Prato, è morta schiacciata tra gli ingranaggi di un orditoio, la macchina a cui stava lavorando.
Se per la Giornata Internazionale della Sicurezza e della Salute sul Lavoro, i commenti dei politici sono stati scarsi, con poche eccezioni, la morte della giovane ragazza, mamma di un bimbo di cinque anni, ha mosso improvvisamente le coscienze sollevando molte polemiche da parte degli esponenti politici, locali e nazionali, e ha avuto giustamente una grande risonanza mediatica, occupando le colonne dei giornali e i social media. Ma gli ultimi mesi sono stati costellati da episodi di morti tragiche sul lavoro, che non hanno avuto la stessa risonanza mediatica.
Solo il 29 aprile sono morte tre persone: una trave ha ceduto nel deposito Amazon di Alessandria, investendo sei persone e causando un morto, Flamur Alsela, 50 anni, di origini albanesi, e cinque feriti; nelle stesse ore, nel porto di Taranto ha perso la vita un gruista di 49 anni, Natalino Albano, precipitato sulla banchina, mentre a Montebelluna, in provincia di Treviso, Mattia Battistetti, operaio di soli 23 anni, è stato investito da un’impalcatura, morendo sul colpo. Il 7 maggio, a Busto Arsizio, in provincia di Varese, ha perso la vita Cristian Martinelli, 49 anni, schiacciato da un tornio meccanico mentre era al lavoro in un’azienda di estrusione di materie plastiche. Il 6 maggio, a Pagazzano, in provincia di Bergamo, un uomo di 46 anni, Maurizio Gritti, è rimasto schiacciato da una lastra di cemento staccatasi dalla gru che stava manovrando. Il 18 maggio hanno perso la vita Armando Rocco Mita, contadino di San Mauro Forte in provincia di Matera, travolto dal trattore, e Stepan Mikaylu, cinquantunenne ucraino deceduto a Croara di Gazzola, in provincia di Piacenza, dopo che il cancello di acciaio che stava montando in un cantiere edile si è sganciato dalle guide e gli è caduto addosso schiacciandolo. Il 17 maggio è deceduto Sergio Persico, mulettista di 53 anni, a Spirano, provincia di Bergamo, dopo essere stato investito da un mezzo pesante in retromarcia. E Marco Oldrati, di 52 anni, morto in un cantiere di Tradate, in provincia di Varese, cadendo da un’impalcatura da circa quattro metri di altezza. Il 27 maggio, nel Pavese, in un’azienda alimentare si è rotta la tubazione di vapore, che conteneva ammoniaca, travolgendo due operai cinquantenni che hanno perso la vita, Alessandro Brigo e Andrea Lusini. Il 4 giugno sono morti Gianni Messa, di 58 anni, e Gerardo Lodovisi, di 45 anni, operai esperti di un’azienda del settore vinicolo, rimasti asfissiati per mancanza d’ossigeno durante l’ispezione di una cisterna. Potrei continuare per pagine.
In piena estate, c’è stata la notizia di un’altra morte, fotocopia di quella della giovane Luana D’Orazio. Il 3 agosto Laila El Harim, operaia di 40 anni, anche lei mamma di un bimbo di 5 anni, è morta trascinata e schiacciata da una fustellatrice, il macchinario a cui era addetta in un’azienda di packaging di Camposanto, in provincia di Modena. La magistratura ha subito aperto le indagini, iscrivendo nel registro degli indagati il titolare dell’azienda e suo figlio, incaricato della sicurezza. Bisognerà chiarire se la donna fosse formata all’utilizzo del macchinario, se siano stati rispettati gli orari di lavoro, se la macchina fosse provvista di sistemi di protezione e se questi possono essere stati rimossi o alterati. Intanto però, si è saputo che Laila aveva segnalato ripetuti guasti elettrici della macchina che l’ha uccisa.
Nel caso di Luana D’Orazio, la perizia effettuata dagli inquirenti e consegnata alla Procura della Repubblica di Prato ha accertato la manomissione del quadro elettrico del macchinario per permettere il suo funzionamento anche senza la protezione di sicurezza, che avrebbe evitato l’incidente. Quindi meno sicurezza per aumentare la produttività. Resta da definire quale fosse la reale mansione di Luana, che era stata assunta da poco, e forse non era titolata a lavorare da sola al macchinario, ma solo in supporto a operai più esperti.
Scorrendo le colonne dei giornali e le varie notizie di quei giorni infuocati di agosto, si fa fatica a trovare commenti ed espressioni di cordoglio per Laila provenienti dai politici o da rappresentanti delle istituzioni, nonostante negli ultimi mesi siano in molti a lanciare un appello affinché il tema delle morti bianche riceva un’adeguata attenzione istituzionale. La mamma di Luana ha invece espresso la sua indignazione, intervistata dal Corriere della Sera in seguito alla morte di Laila, rivivendo il trauma per la perdita della figlia alla notizia della morte dell’operaia quarantenne: “In tre mesi non è cambiato niente. La tragedia di mia figlia non ha insegnato nulla.”
La percezione è ancora una volta quella di un passo indietro. Perché nonostante il sentimentalismo attira-voti passeggero della politica italiana per quella che è stata una delle più giovani vittime di questa strage, tra la morte di Luana D’Orazio e quella di Laila El Harim sono accadute altre 200 morti, nel silenzio. Un numero impressionante, che troppo spesso viene considerato come frutto della casualità e della fatalità.
I dati registrati del 2021, pubblicati sui principali quotidiani nazionali, non sono incoraggianti. Le denunce di infortunio sul lavoro presentate all’Inail (Istituto Nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni del lavoro) tra gennaio e luglio sono state 312.762, in crescita del +8,3% rispetto allo stesso periodo del 2020. Quelle con esito mortale sono state 677.
Basta analizzare i dati relativi al primo quadrimestre per avere una misura della dimensione del problema. Tra gennaio e aprile i morti sono stati 306, ovvero 26 in più rispetto ai 280 registrati nel primo quadrimestre del 2020, un incremento del 9,3%. Il dato è in linea con quelli del primo quadrimestre 2019, in cui sono avvenuti 303 eventi mortali, quando però non si registravano rallentamenti dell’attività produttiva legati alle misure di contenimento della pandemia. Analizzando nel dettaglio, i dati rilevati al 30 aprile evidenziano per il primo quadrimestre 2021 una diminuzione solo dei casi in itinere, ossia negli spostamenti tra casa e lavoro, ridotti a causa del ricorso al lavoro a distanza, passati da 60 a 48, mentre quelli avvenuti sul posto di lavoro sono stati 38 in più (da 220 a 258). Il record dei casi al Sud Italia (59), mentre al Nord è la zona Ovest la peggiore (47 casi contro i 38 del Nord Est).
L’incremento, rileva l’Inail, ha riguardato tutti i grandi settori economici. Il più colpito però è sicuramente quello dell’edilizia, in cui si moltiplicano le morti per caduta dalle impalcature. Mentre scrivevo le prime riflessioni per questo articolo nei primi giorni di agosto, soltanto poche ore prima si era registrato l’ennesimo morto. Un operaio di 36 anni caduto da un’altezza di otto metri in un cantiere del bergamasco. La sindacalista dell’azienda per cui lavorava, intervistata da “La Stampa”, ha lanciato l’accusa: “Da anni denunciamo che si muoia ancora come quaranta anni fa.”
Tutte queste morti passate in sordina hanno qualcosa in comune. La banalità del morire un giorno qualsiasi, nel posto di lavoro di tutti i giorni, per incidenti futili che potevano essere evitati con semplici misure di sicurezza. Che nella maggior parte dei casi mancavano.
È Rossana Dettori, segretaria nazionale della Cgil con la delega alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, intervistata da “Il Fatto Quotidiano” il 4 maggio, a porre l’accento su come il problema non siano le leggi, che ci sono: “Il Testo unico del 2008 è stata una conquista. Ora bisogna investire nella formazione enei controlli.” Ma la formazione manca in molte aziende e i controlli sono scarsi.
Quando si effettuano, il risultato parla da solo. Il tasso d’irregolarità riscontrato dall’Ispettorato nazionale del lavoro nelle 10mila aziende ispezionate l’anno scorso per verificare il rispetto delle norme sulla sicurezza è del 79,3%. 8.068 aziende su 10.069 sono risultate irregolari, e molte su più di un aspetto considerando che le violazioni contestate sono state ben 12.541, di cui 12.020 penali.
Il problema è che le aziende in Italia sono milioni. E le risorse destinate ai controlli sono sempre minori. Da anni, gli enti incaricati di eseguire i controlli come l’Inail, l’Inps e l’Ispettorato nazionale del lavoro sono in affanno per carenza di personale. Anche le Asl e i loro servizi per la prevenzione e la sicurezza negli ambienti di lavoro sono sottorganico. Mancano persone e mancano fondi. Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, consegnato a maggio alla Commissione Europea dal governo Draghi, il tema non è nemmeno citato. La parola sicurezza compare 93 volte, ma mai associata al lavoro.
“Serve un rappresentante per la sicurezza in ogni PMI” riprende Dettori, che invita le parti politiche a rendere la sicurezza sul lavoro un tema centrale da affrontare, come lo è stata la sanità con il Covid, e a includere nell’agenda anche nuovi pericoli e nuove patologie, come quelle legate allo smart working. Riferendosi al caso di Luana D’Orazio, fa calare il velo d’ipocrisia della politica italiana: “Capisco che la morte di una giovane donna abbia colpito molti, ma la realtà è che succede tutti i giorni. Così come tutti i giorni qualcuno resta invalido.” E continua: “Nessuno può cavarsela con il cordoglio e le condoglianze alle famiglie: le persone vogliono solo che la sera i loro famigliari tornino a casa”, ricordando che “morire sul lavoro non è destino, è il risultato di carenze nelle misure di sicurezza e a volte di stress e fatica causati da problemi organizzativi.”
C’è però l’impressione che non basti applicare alcune misure di prevenzione per cambiare il modo in cui funziona il sistema lavoro in Italia. Bisogna lavorare per rafforzare il rispetto per il lavoro e i lavoratori nel nostro paese. Perché un paese che apre la propria costituzione dichiarando che «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro» non può permettersi di avere mille caduti all’anno sul lavoro. Non può permettersi di avere situazioni come Porto Marghera nella laguna veneta o l’Ilva a Taranto, in cui si mandano a morire migliaia di persone in nome del lavoro, e si distrugge l’intero ecosistema per gli anni a venire, permettendo a pochi di guadagnarci. Non può permettersi di avere ancora nelle proprie campagne al giorno d’oggi contesti in cui sopravvive il caporalato, condannando migliaia di persone a una schiavitù invisibile. Non può permettersi leggi che mercificano e degradano il lavoro in nome della modernità, per renderlo “flessibile”. Non può permettersi di far fuggire all’estero i propri ricercatori perché in Italia sono sottopagati e scarseggiano opportunità. Non può permettersi un futuro incerto per i propri giovani. Non può permettersi disuguaglianze così forti tra donne e uomini. Sono tante le situazioni da affrontare in questo paese, e molte urgenti.
La pandemia del Covid ha messo in evidenza le molte disparità che contraddistinguono la nostra società. In Italia come altrove, moltissime persone senza contratto regolare hanno perso il lavoro e non hanno usufruito di benefici assistenziali. Molte sono finite vittime di usura. Moltissimi sono stati i contagiati nei luoghi di lavoro, e tanti quelli che sono morti perché hanno continuato a lavorare senza poter scegliere. Nonostante tutto ciò, nel post-pandemia del green pass molti continuano a rischiare la vita e a morire sui luoghi di lavoro, spesso per motivi banali.
È il caso, quindi, di pensare a un’applicazione più stringente del decreto 231 del 2001, che prevede pene e sanzioni per i responsabili amministrativi di reati gravi, compreso “omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro”. La prevenzione, infatti, sarebbe possibile solo seguendo le direttive europee in materia. Come quelle che prevedono che le aziende aggiornino periodicamente i propri dipendenti in temi di sicurezza. La formazione 4.0, per la cui implementazione ci sono fondi europei che andrebbero utilizzati al meglio, dovrebbe entrare in tutte le aziende.
Un’altra misura che si potrebbe attuare sarebbe l’utilizzo delle forze di Polizia Privata da parte del Ministero dell’Interno, accanto alla Pubblica Sicurezza di Stato, per verificare l’attenzione delle aziende sul territorio, attività di affiancamento tra l’altro prevista dalle indicazioni dell’Unione Europea in materia e non ancora attuata in talia.
È inoltre venuta l’ora, forse, di pensare a uno sciopero generale di tutti i lavoratori. Raccogliere la massima unità delle forze sindacali, e intervenire affinché ci siano risposte dalla politica per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro.
In queste prime settimane di settembre si registrano nuove, numerose vittime. Andrea Bascherini, operaio di 54 anni in un’azienda del comparto del marmo a Pietrasanta, in provincia di Lucca, morto l’8 schiacciato dalle lastre di marmo che stava pulendo. Lo stesso giorno è morto Luigi Manfuso, operaio di 59 anni nel cantiere della metropolitana di Napoli, trovato esanime in un fosso. Il 10 settembre è morto Guido Costantini, giardiniere di 73 anni, rimasto folgorato pochi giorni prima mentre potava un albero nel comune di Bientina, provincia di Pisa. Nella stessa provincia, a Ghizzano, due giorni dopo è morto cadendo da un albero un altro operaio di 33 anni di origine indiana, il cui nome non è stato trasmesso dai mezzi d’informazione. E poi Calogero Ambrogio, 44 anni, morto a Valleggia nel savonese, per il crollo di un tramezzo durante la ristrutturazione di un locale commerciale. Francesco Martino, 34 anni, morto a Pomigliano d’Arco, provincia di Napoli. Ivan Salvatore, 33 anni, operaio specializzato morto a Marcianise, nel casertano. Sono davvero tanti. La Repubblica dedica uno spazio per raccontare le storie e le vite di tutte queste persone che non ci sono più, affinché non siano solo dati statistici. Come dice il titolo, “una Spoon River per non dimenticare”.
Voglio chiudere questo articolo ricordando la tragedia avvenuta l’8 agosto 1956 nella miniera di carbone Bois du Cazier di Marcinelle, in Belgio, in cui persero la vita 262 persone, di cui 136 erano immigrati italiani. Quest’anno è stato commemorato il sessantacinquesimo anniversario. Fu una delle più gravi disgrazie accadute ai nostri connazionali all’estero, emigrati in massa nel dopoguerra per cercare condizioni di vita migliori per le proprie famiglie. All’epoca, l’incidente avvenuto in uno dei massimi distretti minerari europei portò al centro della discussione il tema della sicurezza sul lavoro, e mise in marcia molte manifestazioni e proteste che condussero a un’organizzazione più rispettosa della dignità dei lavoratori.
Sarebbe il caso di accendere una riflessione sul tema e seguire l’esempio di chi ci ha preceduto, affinché in questo paese non continuino a morire così tante persone sul lavoro.
- Morti sul lavoro 2021- una strage annunciata - 15 Settembre 2021