di Sonia Costantino, Consigliere nazionale Unimpresa
“La Calabria è un grande giardino, uno dei luoghi più belli che si possano trovare sulla terra…”
(Edward Lear, Diario di un viaggio a piedi, 1852)
A svegliare le coscienze di un sistema moda malato, fatto di violazioni dei diritti del lavoro e di inquinamento ambientale, è stato il drammatico evento del crollo del Rana Plaza del 24 aprile 2013. Alle 9 del mattino a Dacca, capitale del Bangladesh, un edificio commerciale di 8 piani, il Rana Plaza, crolla su se stesso a causa di un cedimento strutturale: più di 1.129 operai tessili perdono la vita.
Eppure molti lavoratori già dal giorno prima avevano manifestato dubbi sulla solidità dell’edificio fatiscente e pieno di crepe, ma temendo di perdere il proprio posto di lavoro, seppur sottopagato, si recano a lavoro quel maledetto giorno, costretti dai proprietari delle fabbriche, impegnate nella realizzazione di abiti per numerosi marchi occidentali. Rana Plaza simboleggia chi antepone il profitto ai diritti umani.
Oggi a seguito di tale disastro, assistiamo a fenomeni importanti di rilocalizzazione, tecnicamente si chiama reshoring, verso l’Europa appunto, nei Paesi dell’Est in particolare, ma anche Italia. Il lavoro torna a essere competitivo data la presenza preoccupante di fenomeni estesi di lavoro illegale, informale, precario, che si annida nelle parti basse delle filiere produttive, siano esse a Sud, dove il subappalto fuori controllo trionfa, oppure al Nord, come il noto bacino di lavoro sottocosto offerto dalla manodopera cinese in Toscana ci indica. La globalizzazzione è una sorta di livella, al ribasso. E l’assenza di regole e di interventi pubblici a tutela del lavoro favorisce la discesa dei salari e delle condizioni di lavoro.
Nei prossimi anni sarà indifferibile lavorare per il raggiungimento di livelli salariali dignitosi lungo le intere catene di fornitura e il raggiungimento di standard di salute e sicurezza, di tutela dei diritti umani e di trasparenza, che non mettano più a
repentaglio la vita dei lavoratori, quasi tutte donne, che confezionano i nostri vestiti e le nostre scarpe, ovunque nel mondo, Italia compresa.
Negli ultimi anni ci sono stati importanti miglioramenti in difesa dei diritti umani nel tessile, manifatturiero e della cosmesi, ma di strada ce n’è ancora da fare parecchia.
Ce lo testimonia la “rivoluzione profumata” delle coraggiose e sfruttate Gelsominaie di Calabria, antesignane dei principi della Moda Etica.
Grazie al clima favorevolissimo, il gelsomino, profumatissimo fiore orientale, si diffuse lungo la Riviera jonica dei Gelsomini nel Reggino, nella Piana di Rosarno nella vicina Bruzzano Zeffirio, a Bova Marina e negli altri centri della zona circostante, cioè da Palizzi fino a Siderno.
Voglio dedicare questa estate al doveroso ricordo di una storia del secolo scorso, eppur contemporanea, di queste donne di un’età compresa fra i quindici e i cinquanta anni, le gelsominaie, appunto per il sacrificio che hanno compiuto nello svolgere un lavoro duro e faticoso e per l’esempio magistrale, che ci hanno trasmesso nella lotta per la tutela dei diritti lavorativi.
Il noto Profumo calabrese di gelsomino deve la sua notorietà al lavoro di queste donne, che con estrema delicatezza staccavano di notte quel fiore “vampiro”, destinato a divenire profumo.
La loro giornata iniziava alle due del mattino, quando in gruppi raggiungevano i terreni di coltura prima che il sole giungesse a rovinare i teneri fiori, a quell’ora nel massimo del loro profumo. Il gesto correva dalla pianta alla grande tasca sul grembiule, che poi veniva svuotata in ceste di canna o vimini con cui si portavano i fiori alla pesatura. Nelle otto ore di lavoro (si terminava alle 10 del mattino) il profumo si mescolava al canto che scandiva il ritmo delle mani su quei piccoli, fragili, fiori.
Un lavoro immane se si pensa che per farne un chilo se ne dovevano raccogliere circa 7300; eppure v’erano donne capaci di raccoglierne fino ad 11 o 12 chili al giorno. Nelle giornate di pioggia la raccolta diventava particolarmente difficoltosa perchè i piedi nudi affondavano nel fango rallentando i movimenti. Eppure resistevano: stanche, provate, ma fiere del loro lavoro. Raccolto con cura questo fiore stellato si conduceva sui carretti agli opifici dove si preparava un semi lavorato: il fiore si pestava, si riduceva in poltiglia e poi si spediva in Francia per farne profumi.
Grazie a queste donne, l’essenza di gelsomino veniva esportata anche all’estero e utilizzata in profumeria, farmacia, gastronomia e nell’artigianato dolciario e così quella preziosa materia prima e il nome stesso della Calabria viaggiarono per decenni in tutta Europa. Eppure questo lavoro era sottopagato e sfruttato.
“Alle 3 del mattino lascio la mia casa e vi ritorno alle ore 3 del pomeriggio e dopo 12 ore di duro lavoro ritorno ai miei cinque figli con nemmeno 500 lire e con la schiena rotta”.
Questa testimonianza, riportata su un volantino della Federazione provinciale reggina del Partito socialista italiano, di una raccoglitrice di gelsomini di Bruzzano Zeffirio, in provincia di Reggio Calabria, fotografa lo spaccato di un’epoca in cui le donne raccoglitrici di gelsomini, ma anche di olive nella Piana, nei campi sparsi nella provincia jonica di Reggio Calabria, avviarono una lotta fondamentale per i diritti sociali ed economici essenziali. Un vero e proprio manifesto delle condizioni di sfruttamento delle braccianti e delle lavoratrici agricole in questo lembo di terra e delle lotte necessarie per migliorare la loro condizione di lavoro e di vita. Un testamento di coraggio che le donne della Riviera dei gelsomini (Bruzzano Zeffirio, Caulonia, Brancaleone, Palizzi Marina, Bova Marina) lasciarono a testimonianza del ruolo fondamentale che esse ebbero.
La loro lotta durò ben dieci giorni. Ben quattromila gelsominaie, unite e compatte, hanno resistito conto la vile richiesta della riduzone delle paghe da parte degli agrari reggini. Una pretesa non “sostenibile” per usare un termine in voga in questo periodo, ma a ben vedere applicabile anche al passato.
La notte che precede la domenica del 20 agosto 1967 è testimone del successo della rivoluzione poderosa delle indomite Gelsominaie. Di notte, infatti, quando il profumo dei gelsomini si fa più intenso e questo fiore ha i petali aperti, si raggiunge un accordo in Prefettura a Reggio Calabria, che sancisce l’abbandono da parte degli agrari dell’assurda pretesa di decurtare i salari del 20 per cento e riafferma che la retribuzione sarà uguale a quella dello scorso anno: 450 lire ogni chilo di gelsomino raccolto.
Ad esse va il grato ricordo e il mio omaggio estivo in questa rubrica. Sulla scia di questa storia profumata di gelsomino auguro di trascorrere una felice pausa estiva.
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