Questo libro di Paolo Longobardi ha una connotazione di fondo abbastanza singolare: è una ricerca su opzioni, proposte o revisioni di processi economici ma espone le linee di un economista di base sociale e non accademica.
Egli raccoglie i suoi interventi ultimi del 2011 tutti precedenti l’ottobre-novembre appena appena pre Monti, quasi a delineare un quadro di conoscenze su possibili soluzioni di crisi monetarie e imprenditoriali che molti hanno presagito ma che, non rese pubbliche, sono come un sottofondo in cui chiunque può riconoscersi.
Diviso in tre parti presenta le politiche per la crescita (ad esempio la Banca del Mezzogiorno, l’abolizione dell’Irap, agenzie di rating), le nuove relazioni industriali (il caso Marchionne e la Fiat, le prospettive per le piccole imprese, le chiusure di fabbriche come la Fincantieri di Castellammare di Stabia, Sestri Levante e Riva Trigoso), partecipazioni a convegni su argomenti scottanti (i costi dell’illegalità, la lotta alla criminalità, la finanziabilità delle piccole e medie industrie artigianali).
Quest’ultimo aspetto vede Longobardi in piena responsabilità autorale e specialistica in quanto che egli proviene da anni di apprendistato e lavoro imprenditoriale-sindacale nel campo dell’artigianato, e da qui l’aspetto singolare di cui sopra in quanto che gli scritti cercano di trovare un ponte d’intesa e di verifica fra grande e piccolo lavoro operaio e tecnico.
Non meravigliano, quindi, anticipazioni che economisti di professione hanno prospettato, ad esempio a pagina 21 circa le liberalizzazioni, la riforma del fisco, lotta all’evasione, riforma dei meccanismi di regolamentazione dei rapporti di lavoro, e ancor meglio le priorità per la crescita (pp. 44-47).
L’esperienza pregressa lo ha condotto poi a indicare vie di uscita, come intuizioni sulla liquidità dei pagamenti (p. 64) e, ancor meglio, sugli investimenti stranieri quando ricorda che le “… minoranze sindacali (hanno) un potere di veto sulle scelte compiute” (p. 89), constatazioni del febbraio 2011 che hanno, si sa, forte impatto sui casi odierni di ricambio sostanziale nel lavoro operaio.
E’ un aspetto, fra l’altro, di cogente attualità per un economista come Longobardi, che quasi sulla pelle, a Napoli, Torre Annunziata, Castellammare di Stabia (ma il discorso vale anche per altre zone industriali, come la ex Ideal Standard di Salerno, o ciò che fu l’impresa Fiat in Irpinia e Basilicata, o la Marzotto a Praia a Mare) riscontra quotidianamente le avvenute e continue ristrettezze produttive per un mercato già nazionale o internazionale, condotto dalla Fincantieri – per indicare una contingenza non immune da tentativi di rivolte – posto di fronte a concorrenze che fondano su nessun tipo di regole la loro capacità di lotta e di sbaragliamento di economie complesse e un po’ logore come quella italiana.
E ciò è tanto più rilevante e umanamente comprensibile quando si pensi, specifica inoltre Longobardi, che i licenziamenti Fincantieri, o di altre imprese nel Meridione, altro non ripropongono che aspetti della questione meridionale non risolti, perché se l’operaio di Sestri o di Riva potrebbe cercare spazio in altri luoghi dell’immenso Nord artigianale, al Sud, Torre Annunziata, Salerno, Avellino, Melfi, Praia, Cosenza industrie avanzate e diffuse non hanno certo la possibilità di impieghi ulteriori di manodopera.
Sta anche in tale forte dicotomia l’interesse del libro, fra soste o negatività ma sulla via di speranze di processi economici unificati e di livello non più settoriale ma totalmente nazionale.
Pasquale Natella
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