E’ il commento di Paolo Longobardi, presidente nazionale Unimpresa, ai dati pubblicati dal Cerved che dipingono un quadro estremamente fosco riguardo alla salute dell’economia italiana.
Secondo l’ultimo “Osservatorio trimestrale sulla crisi di impresa”, infatti, l’ondata di fallimenti che ha colpito le imprese italiane dall’inizio della crisi è proseguita anche nell’ultima parte del 2011, portando il numero totale di procedure aperte in un singolo anno ai massimi da quando è stata riformata la disciplina fallimentare nel 2006.
“Lo scontrino della crisi nel 2011 fa registrare circa 12mila imprese fallite – spiega Longobardi – Come dire: mille al mese, poco meno di 40 ogni giorno. Con l’inevitabile conseguenza dell’avvio di procedure di cassa integrazione per i dipendenti e l’aumento degli “incagli” e degli insoluti per le banche, che non vedono più restituirsi il denaro prestato. Senza contare il montante delle imprese in concordato preventivo, l’ultima ratio prima del default vero e proprio. Ma quante di queste imprese potevano essere salvate? Erano tutte destinate ad una morte finanziaria che oggi viene accettata con magra rassegnazione?”.
Molte pmi, continua il numero uno di Unimpresa, hanno un fardello di debiti scaduti spesso superiore al fatturato, che la crisi ha ridotto al 30-50% dei livelli raggiunti 3 o 4 anni prima. I debiti sono quasi sempre verso fornitori e banche, soprattutto banche e il loro totale è di dimensioni tali che non possono essere riassorbiti neppure dopo anni di duro lavoro ai fatturati pre-crisi.
“Il patrimonio immobiliare degli imprenditori si è fortemente svalutato, ma soprattutto è diventato illiquido, non si riesce nemmeno a vendere – continua Longobardi – Ora che anche il costo del debito (a causa degli spread) è esploso al 10%, si sta rischiando il completo fallimento del sistema della piccola e media impresa. L’arretrato del debito verso più istituti di credito ha infatti innescato nelle banche tutto il repertorio delle tipiche azioni di recupero del credito: la revoca del fido, la messa in mora, decreti ingiuntivi, a volte ipoteche giudiziali anche sui beni personali”.
Se da una parte il quadro finanziario dei debiti verso banche e fornitori segnala la “morte-finanziaria”, dall’altra l’imprenditore è assolutamente vivo, aggiunge. “Spesso incuranti del rischio di essere dichiarati falliti, resistono a un destino che è quasi sempre inevitabile. Solo chi ha incontrato questi imprenditori può rimanere colpito di fronte all’energia messa nel tentativo di non mollare, di rimanere vivi a qualunque costo”.
Il sistema creditizio è dunque chiamato a salvare le imprese
“Trovate modi più rapidi e intelligenti di ristrutturare il debito – chiede Longobardi – Alcuni pezzi del Paese stanno franando e distruggono con sé occupazione e debiti che diventano crediti inesigibili per altre imprese. E questo né lo Stato né il sistema bancario se lo possono permettere. Non basterà una terza “Moratoria”. Si devono adottare provvedimenti urgenti e concreti”.
a cura del servizio Ufficio Stampa Ago Press
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