”Io vi dico coraggio, ma non voglio che questa sia una parola vuota detta con un sorriso. Non voglio fare l’impiegato della chiesa che dice parole vuote. Voglio che questo venga da dentro, ve lo dico come pastore e come uomo!” Questo uno dei passaggi del discorso a braccio rivolto dal pontefice ai lavoratori sardi nel viaggio a Cagliari. E’ anche uno di quelli che più descrivono Papa Francesco, un uomo, successore di Pietro che non dimentica la sua umanità. Un pastore consapevole che al cuore del fratello non si parla dal piedistallo, ma stando in mezzo. ”La mancanza di lavoro porta alla mancanza di dignità. Non lasciatevi rubare la speranza, non lasciatevi rubare la speranza! Come figlio di un papà andato in Argentina pieno di speranza, ha detto Bergoglio, conosco la sofferenza”. Tutto è partito da un grido orante “Signore insegnaci a lottare per i lavoro”! Qualcuno avrà pensato ad un invito alla violenza e si sarà anche preoccupato. Chi è incappato in questo equivoco non conosce Francesco, ancora meno il Vangelo e forse ha paura che qualche suo interesse particolare corra dei rischi. La forma di lotta del cristiano è l’amore, la sua arma la fede. Il papa esorta all’impegno fermo e deciso per trasformare il concetto di lavoro. Più precisamente a riportarlo nell’alveo umano strappandolo alla disumanità cui è scivolato. Il lavoro è strumento per l’uomo e non il contrario. Questo può aversi solo nella misura in cui ci si libera da un meccanismo che porta ad idolatrare il denaro e il profitto. Appello forte, dato con amore di padre, la cui sequela è l’unica speranza per un futuro migliore.
Alfonso D’Alessio
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