Se la ripresa economica globale rimarrà fiacca, è probabile che il prezzo del petrolio si stabilizzerà intorno ai livelli attuali o subirà ulteriori ribassi, oscillando tra i 70 e i 75 dollari al barile per il WTI e tra i 75 e gli 80 dollari per il Brent.
Tuttavia, se dovessero essere implementati stimoli fiscali o monetari significativi in paesi chiave come Cina e Stati Uniti, potremmo vedere una leggera ripresa del prezzo verso la fine dell’anno, con il Brent che potrebbe raggiungere quota 85 dollari.
Ma il prezzo fino alla fine del 2024 dipenderà soprattutto dall’equilibrio tra domanda globale e tensioni geopolitiche. In presenza di un’escalation nei conflitti in Ucraina o in Medio Oriente, potremmo assistere a un rialzo repentino dei prezzi, con il Brent che potrebbe superare i 90 dollari al barile e il WTI che potrebbe avvicinarsi agli 85 dollari. Al contrario, se la situazione dovesse stabilizzarsi, è probabile che i prezzi rimangano relativamente stabili, salvo nuovi shock imprevisti.
È quanto si legge in un paper del Centro studi di Unimpresa, secondo il quale il mercato del petrolio rimarrà instabile e sensibile a sviluppi economici e geopolitici. «Gli investitori dovranno monitorare attentamente le politiche economiche dei principali paesi e gli sviluppi nei conflitti in corso, poiché saranno questi fattori a determinare la traiettoria dei prezzi nel prossimo futuro» spiegano gli analisti dell’associazione.
Secondo il Centro studi di Unimpresa, il prezzo del petrolio è sempre strettamente legato alla domanda globale, che a sua volta dipende dalla crescita economica. Attualmente, ci troviamo in un contesto di ripresa economica instabile, caratterizzata da segnali di rallentamento in diverse aree del mondo.
La Cina, ad esempio, sta vivendo un periodo di incertezza, con una crescita che fatica a riprendere slancio. Malgrado sia il principale importatore di petrolio, il governo cinese ha annunciato misure economiche considerate insufficienti per ridare impulso all’economia. Di conseguenza, la domanda di petrolio potrebbe rimanere contenuta se Pechino non introdurrà nuovi stimoli significativi.
Parallelamente, l’economia statunitense mostra segnali di rallentamento, con una crescita del PIL che potrebbe risultare inferiore alle aspettative.
In Europa, l’inflazione rimane elevata, e la BCE ha adottato politiche monetarie restrittive per contenere l’aumento dei prezzi, comprimendo però i consumi e gli investimenti. Questa situazione porta a una domanda di petrolio più debole rispetto a quanto inizialmente previsto, con il rischio di una crescita globale anemica.
Le tensioni geopolitiche continuano a esercitare una forte influenza sul mercato petrolifero.
Da una parte, il conflitto tra Russia e Ucraina ha avuto un impatto significativo sull’offerta globale di energia, specialmente in Europa, che ha dovuto riorientare le proprie forniture energetiche. Nonostante l’embargo e le sanzioni, il petrolio russo continua a essere esportato, ma l’accesso al mercato è più limitato e costoso. Se il conflitto dovesse intensificarsi, è probabile che l’offerta russa subisca ulteriori restrizioni, spingendo i prezzi al rialzo.
Dall’altra, il recente riaccendersi delle ostilità tra Israele e Palestina rischia di destabilizzare ulteriormente l’intera regione del Medio Oriente, una delle aree più rilevanti per l’approvvigionamento petrolifero mondiale. Sebbene Israele non sia un produttore di petrolio, la vicinanza ad altri paesi produttori e il rischio di un’espansione del conflitto potrebbero generare incertezza sul mercato. Se le tensioni dovessero coinvolgere altri attori regionali, come l’Iran o l’Arabia Saudita, il rischio percepito dai mercati potrebbe tradursi in un aumento dei prezzi, a causa del timore di possibili interruzioni nelle forniture.
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