La possibilità per le istituzioni arbitrali straniere di condurre una procedura arbitrale in Cina è da molti anni al centro di un vivace dibattito; la sentenza con cui nel 2006 la Corte Intermedia del Popolo di Wuxi si era rifiutata di riconosce-re ed eseguire un lodo pronunciato dalla International Chamber of Commerce a Shanghai (caso Zublin) sembrava l’ennesimo tassello a favore della tesi, assolutamente predominante in Cina, secondo cui alle istituzioni arbitrali straniere era preclusa la possibilità di condurre procedure arbitrali oltre la Grande Muraglia. Nel caso Zublin il rifiuto della Corte di realizzare la procedura per l’exequatur del lodo reso dalla ICC non dipendeva dall’invalidità di tale decisione bensì dal fatto che il lodo era considerato “non domestic award” e, come tale, non poteva trovare esecuzione in base alla Legge Cinese sull’Arbitrato. In un altro famoso caso (Duferco S.A. contro Ningbo Art & Craft Imp. & Exp.) la Corte Intermedia del Popolo di Ningbo aveva eseguito il lodo reso dalla ICC riunitasi a Pechino mediante il rinvio alla Convenzione di New York, applicabile in quanto il pronunciamento era stato qualificato “non domestic award”; Duferco aveva severamente criticato la decisione che, a suo dire, rappresentava un pericoloso precedente perché qualificava il lodo come “estero” sul presupposto che la legge cinese non permettesse alle istituzioni arbitrali straniere di svolgere giudizi arbitrali sul territorio cinese. Tale essendo lo stato dell’arte, è ancor più deflagrante l’effetto provocato dalla pronuncia del 2013 (pubblicata solo nell’aprile 2014) con cui la Corte Suprema del Popolo Cinese, decidendo il caso Longlide Packaging Ltd. contro BP Agnati SRL ( ) ha riconosciuto la validità della clausola compromissoria che rimetta la soluzione delle controversie ad un’istituzione arbitrale straniera chiamata a decidere in Cina (nello specifico a Shanghai). In breve i fatti: la ricorrente Longlide Packaging è una società cinese della Provincia di Anhui che nell’ottobre 2010 aveva concluso un contratto di vendita con la società italiana BP Agnati SRL: il contratto di vendita conteneva una clausola compromissoria dal seguente tenore letterale: “any dispute arising from or in connection with this contract shall be submitted to arbitration by the International Chamber of Commerce (‘ICC’) Court of Arbitration according to its arbitration rules, by one or more arbitrators. The place of jurisdiction shall be Shanghai, China. The arbitration shall be conducted in English”. La ricorrente sosteneva che la citata clausola dovesse considerarsi invalida – se-condo la legge cinese – per i seguenti motivi: 1) la ICC non era un’istituzione arbitrale riconosciuta dal China Arbitration Act; 2) la Camera Arbitrale non era autorizzata a decidere a Shanghai perché ciò costituiva una violazione della sovranità cinese; 3) se la decisione della ICC fosse stata riconosciuta valida, si sarebbe dovuta qualificare come un “lodo domestico” (domestic award) e conseguentemente la Convenzione di New York non avrebbe potuto trovare applicane (riferendosi solo al riconoscimento in Cina dei lodi arbitrali stranieri e non di quelli “domestici”). La Corte Intermedia del Popolo di Hefei, sul presupposto che la questione del-la validità della clausola compromissoria dovesse essere risolta in base alla legge cinese, aveva concluso che il China Arbitration Act non affrontava la possibilità (o meno) di un’istituzione straniera di svolgere in Cina un arbitrato e nel momento in cui entrambe le parti avevano deciso che l’arbitrato dovesse svolgersi a Shanghai, per ciò stesso la decisione arbitrale doveva essere qualificata come “domestica” (e conseguentemente si escludeva la possibilità di applicare la Convenzione di New York il cui Art. 1 si riferisce in modo espresso ai lodi arbitrali “stranieri”). In secondo luogo, proseguiva la Corte di Hefei, l’Art. 10 del China Arbitration Act (in base al quale “the establishment of an arbitration commission shall be registered with the administrative authority of justice of the relevant province, autonomous region or municipality directly under the central government”) implica che un’autorità arbitrale straniera avrebbe potuto legittimamente con-durre una procedura arbitrale in Cina solo dopo aver ottenuto il permesso da parte della competente agenzia amministrativa della giustizia cinese. In mancanza di tale preventiva autorizzazione, la procedura arbitrale condotta in Cina da un’istituzione straniera si doveva considerare illegittima: per tale motivo, aveva concluso la Corte, la clausola compromissoria contestata dalla società cinese si doveva considerare invalida. L’Alta Corte della Provincia di Anhui, investita della questione in base al repor-ting system, si divise in due: la parte maggioritaria dei giudici, pur conferman-do che il caso dovesse essere deciso in base alla legge cinese, aveva riformato la decisione della Corte di Hefei City sulla base dell’Art. 16 del China Arbitra-tion Act secondo cui “an arbitration agreement shall contain three elements: 1) an expression of intention to apply for arbitration; 2) subject matters for arbitra-tion; 3) a designated arbitration commission”. Secondo la maggioranza del collegio giudicante cinese, in base alla citata norma, la clausola compromissoria contenuta nel contratto dimostrava la volon-tà delle parti sia di rimettere ad un collegio arbitrale la risoluzione delle even-tuali controversie sia, soprattutto, di aver concordemente designato la ICC co-me ente arbitrale deputato ad emettere il lodo. La parte minoritaria dei giudici invece negava la validità della clausola, sul pre-supposto che la legge cinese precludesse agli enti stranieri di condurre arbitra-ti in Cina. La Corte Suprema Cinese con sentenza del 25 Marzo 2013, modificando il proprio orientamento ermeneutico, ha accolto le argomentazioni della maggioranza dei giudici della Corte di Anhui stabilendo, in primo luogo, che l’espressione “place of jurisdiction shall be Shanghai, China” contenuto nella clausola compromissoria doveva essere interpretato nel senso che il luogo in cui si sarebbe svolto l’arbitrato era Shanghai, non che si dovesse applicare la legge cinese.
Purtuttavia l’applicazione della legge locale dipendeva, secondo la Suprema Corte, dall’Art. 16 delle Interpretazioni (rese dalla Corte stessa) alla Legge Arbitrale Cinese del 2006 in base alla quale il luogo in cui si svolge l’arbitrato individua anche la legge ad esso applicabile. Infine la Corte Suprema, sempre facendo proprie le argomentazioni della maggioranza dei giudici di Anhui, aveva stabilito che la clausola compromissoria fosse valida perché erano soddisfatti i tre requisiti indicati dall’Art. 16 della Legge Cinese sull’Arbitrato. La sentenza del 2006, come già avvenuto in passato, non affronta il problema dell’ammissibilità (o meno) di una procedura arbitrale in Cina condotta da enti stranieri; ne consegue che l’eseguibilità del lodo arbitrale reso in Cina da istitu-zioni estere (sulla base di una clausola compromissoria che soddisfi i tre requi-siti dell’Art. 16 della Legge Cinese sull’Arbitrato) non è affatto certa. Anzi. L’Art. 1 della Convenzione di NY, adottata anche dalla Cina, stabilisce che “This convention shall apply to the recognition and enforcement of arbitral awards made in territory of a State other than the State where the recognition and enforcement of such award are sought, and arising out of differences between persons, whether physical or legal. It shall also apply to arbitral awards not considered as domestic awards in the State where their recognition and enforcement are sough”.
Mentre il primo criterio si applica ai lodi pronunciati al di fuori della Cina, il secondo criterio si riferisce ai lodi resi da istituzioni estere in Cina e definisce “non-domestic award” solo il lodo regolato da una legge arbitrale diversa da quella del luogo in cui si svolge la procedura arbitrale. La sentenza della Suprema Corte, pur rappresentando un precedente molto importante, presenta ancora numerosi coni d’ombra che non consentono di trovare una soddisfacente risposta al quesito più importante: le istituzioni estere possono validamente condurre un giudizio arbitrale in Cina? Ancora oggi la risposta a questa domanda dovrebbe essere “probabilmente no” anche se la sentenza Longlide ha aperto uno spiraglio verso una soluzione positiva. I dubbi ancora da sciogliere sono principalmente due: il primo riguarda la qualifica (“domestic award” o “non domestic award”) del lodo arbitrale reso da enti arbitrali stranieri in Cina; se (allineandosi al caso Duferco) si propende per la seconda soluzione (cioè “non domestic award”) si deve stabilire se l’eseguibilità del lodo debba essere effettuata sulla base della Legge Cinese sull’Arbitrato o secondo la Convenzione di New York. Risolto il primo problema, si tratta di individuare quale sia la corte cinese com-petente a dare esecuzione al lodo arbitrale dal momento che l’Art. 58 della Legge Cinese sull’Arbitrato stabilisce che il lodo debba essere eseguito dalla Corte Intermedia del luogo in cui si è svolto l’arbitrato condotto dall’istituzione arbitrale cinese scelta dalle parti, ma nulla dice nel caso in cui il lodo sia reso da istituzioni arbitrali straniere. Forse i tempi non sono ancora maturi per “aprire” in modo così ampio la strada dei giudizi arbitrali in Cina anche alle istituzioni estere ma la sentenza del 2013 della Corte Suprema Cinese si può considerare un significativo passo avanti in questa direzione.
Avv. Giampaolo Naronte – GN Lex Studio Legale per Unimpresa
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