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QUALCOSA SI MUOVE NEL NOSTRO PAESE. LA VERA INNOVAZIONE È FARE COSE VECCHIE IN MODO NUOVO

di Paolo Longobardi, Presidente Onorario Unimpresa

Castellammare di Stabia, 24 dicembre 2023. È un grande errore, diceva Milton Friedman, giudicare i governi per le loro intenzioni invece che per i loro risultati. Ed è quello che Unimpresa fa da sempre: valutare quello che accade e quello che potrebbe verificarsi, ma mai prendere troppo seriamente promesse e annunci. La politica, del resto, è fatta anche di mezze bugie e verità nascoste: chi vive, come me, sulla strada, da quando ha cominciato a fare impresa e poi attività di rappresentanza, sa cosa vuol dire consenso e quindi non si scandalizza di fronte ad annunci poco concreti. I fatti, però, non sono contestabili. Da quelli partono tutti i nostri ragionamenti. Quello che è accaduto nell’ultimo anno racconta che qualcosa finalmente sta cambiando nel nostro Paese. Con grande fatica, qualcosa si muove.

Il punto nevralgico di questa svolta è il Piano nazionale di ripresa e resilienza: assistiamo a una ripresa degli investimenti in infrastrutture e opere pubbliche, sperando che si realizzi tutto quanto concordato dall’Italia con l’Unione europea. Tre le direttrici che auspico siano sempre seguite, anche perché dobbiamo renderne conto a Bruxelles: trasparenza, onestà, efficacia delle scelte. Solo nel 2023 sono stati aggiudicati appalti per 70 miliardi di euro, con una forte riduzione dei tempi da una media di un anno ad appena due mesi. È un dato assai importante, perché svela un radicale cambio di passo della nostra burocrazia, anche se i ritardi locali corrono il rischio di vanificare, talora, gli indiscutibili, brillanti risultati raggiunti fin qui in sede nazionale. Le amministrazioni territoriali devono abbandonare vecchie logiche di convenienza locale e di mance, puntando a comportarsi con maggiore lungimiranza: una rinuncia in casa propria può garantire, anche in termini di velocità, i successi su scala nazionale. È la logica del sistema-Paese, di cui si parla da tanto tempo, ma che, tuttavia, resta uno slogan decisamente poco applicato.

Ho visto, invece, poco sistema-Paese, a esempio, osservando il dibattito politico sul nuovo Mes (Meccanismo europeo di stabilità). Il «no» dell’Italia alla ratifica della riforma del Fondo salva-stati è stato eccessivamente strumentalizzato: l’ennesimo, stucchevole scontro di parte nel quale nessuno ha ricordato un paio di cose banali. La prima è che il “vecchio” Mes continua a esistere e, quindi, potrà intervenire in caso di difficoltà di qualche paese europeo. La seconda è che la principale novità, ovvero gli interventi nelle crisi bancarie, non cancella la possibilità che i singoli Stati risolvano i problemi “in casa loro”, come finora è sempre stato fatto, anche in Italia. Abbiamo letto che la scelta del governo italiano sarebbe stata accolta con reazioni negative da parte degli organismi e delle istituzioni internazionali. Al «no» del Parlamento italiano, invecw, non è seguito, come molti osservatori paventavano, il tracollo dei mercati finanziari né è aumentata la tensione sul nostro debito pubblico (lo spread è addirittura calato). Tutto questo per ricordare che la politica è fatta di strumentalizzazioni che spesso si basano sul nulla e su strumentalizzazioni effimere che rappresentano un danno al sistema. Cui prodest?

La democrazia è fatta di contrapposizioni, ma gli eccessi sono pericolosi. Oggi noi abbiamo bisogno, soprattutto, di una visione di lungo periodo: serve quel «piano industriale nazionale» che metta a fattor comune, in tutta Italia e a tutti i livelli, le sfide da perseguire insieme, pubblico e privato, in quella logica di squadra che è essenziale per resistere alla concorrenza, spesso scorretta, di giganti stranieri. Del resto, le imprese (private), anche quelle più piccole, potranno beneficiare, direttamente e indirettamente, degli investimenti (pubblici) realizzati grazie al Pnrr: un decimo della crescita del prodotto interno lordo italiano sarà dovuto, infatti, agli investimenti in infrastrutture. La crescita strutturale del pil vuol dire più consumi, più investimenti, più occupazione. L’anno prossimo la crescita dovrebbe essere dello 0,9%, con una stima che l’Ue ha aggiornato al rialzo nelle scorse settimane, confermando i cambiamenti positivi di cui ho già accennato.

È necessario ricordare che l’enorme macchina del Pnrr muoverà, complessivamente, fino al 2026, quasi 200 miliardi di euro: soldi gestiti dallo Stato e dalla pubblica amministrazione in generale che per la quasi totalità andranno restituiti all’Ue. Dunque, nuovodebito, da sfruttare in maniera costruttiva. Si entra, però, in un campo quasi minato: quello della spesa pubblica, argomento al quale è direttamente collegata la questione fiscale. Ecco, le (troppe) tasse: per risolvere l’eccessivo carico tributario non è possibile partire dalla diminuzione dell’imposizione su famiglie e imprese. Il problema da affrontare (e risolvere) è, appunto, la riduzione della spesa pubblica: noi auspichiamo che il sistema tributario diventi non solo meno pesante sul piano economico, ma anche meno complesso sul versante normativo. Tuttavia, la bacchetta magica non esiste e per ottenere una “sforbiciata” concreta alle aliquote occorre intervenire sul lato delle uscite: solo se queste caleranno, saranno necessarie minori entrate. Sembra facilissimo, in realtà è quasi una missione impossibile. Commissioni ministeriali e task force parlamentari incaricate di realizzare un piano di spending review provano, da una quarantina d’anni, a indicare una strada e a suggerire soluzioni di vario tipo, ma finora è sempre mancata la volontà politica: perché gli sprechi nelle casse dello Stato hanno fatto comodo a tanti. Ed è ancora così.

Lo Stato deve fare la sua parte, assicurando servizi e infrastrutture in linea con i migliori standard internazionali, facendo pagare un contributo “giusto”; le imprese devono contribuire in tanti modi alla crescita economica del Paese. Uno di questi è innovare, sempre. Innovazione è una parola molto usata, forse poco misurata. Dal mio punto di vista innovazione è anche tradizione: vuole dire fare le cose vecchie in modo nuovo. Questa è, dal mio punto di vista, la stella polare da seguire: è la forza del made in Italy, delle micro, piccole e medie imprese che sono la linfa, la spina dorsale della nostra economia.

A un Paese che viene da decenni di saccheggiamenti, interni e internazionali, auguro che il 2024 sia l’inizio di un percorso nuovo: fatto di meno tasse, un apparato pubblico che funziona e un sistema imprenditoriale capace di innovare nel segno della tradizione.

A voi e alle vostre famiglie, auguro di avere il meglio e di trascorrere tutte le festività in serenità.

Buon Natale

PAOLO LONGOBARDI

PRESIDENTE ONORARIO DI UNIMPRESA

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