Documento del Centro studi dell’associazione: elezioni per il Presidente della Repubblica mettono a rischio l’utilizzo delle somme in arrivo dall’Unione europea: l’anno prossimo due rate da 24,1 miliardi e 21,8 miliardi. Sul totale di 191,5 miliardi, due terzi sono prestiti: di fatto sono stati già pianificati 122 miliardi di nuovo indebitamento, pari al 4,5% dell’attuale debito pubblico italiano. Il segretario generale Lauro: «Conclamata crisi politica è irreversibile crisi istituzionale e di governo»
Nel 2022 arriveranno in Italia dall’Unione europea 46 miliardi di euro, ma l’utilizzo costruttivo e completo di questa somma è seriamente minacciato dalla instabilità politica del governo. Nel corso del prossimo anno, nel quale dovrà essere eletto il nuovo Presidente della Repubblica e si potrebbe tornare a votare per il Parlamento, qualora la legislatura terminasse in anticipo, sono previste due corpose rate del Recovery fund: la prima, entro il 30 giugno, di 24,1 miliardi, la seconda, entro il 31 dicembre, di 21,8 miliardi. Su 191,5 miliardi complessivi, il 64% si riferisce a prestiti, cioè somme che dovranno essere rimborsate: si tratta di oltre 122 miliardi che si andranno ad aggiungere al deficit strutturale e corrispondono al 4,5% dell’attuale debito pubblico italiano. È quanto emerge da un documento del Centro studi di Unimpresa, secondo il quale il pagamento delle risorse “europee” approvate per sostenere il Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano si completerà nell’arco dei prossimi cinque anni, considerando che, dopo i 24,1 miliardi erogati nel corso del 2021, 46 miliardi verranno riconosciuti nel 2022, 39,1 miliardi nel 2023, 33,9 miliardi nel 2024, 27,6 miliardi nel 2025 e 20,8 miliardi nel 2026. «Le recenti vicende interne ai partiti della cosiddetta maggioranza di unità nazionale (M5s, PD, Lega, FI e Iv), hanno confermato, oltre ogni ragionevole dubbio, alcuni segnali inequivocabili: la ormai palese fragilità delle cinque leadership di partito (Conte, Letta, Salvini, Berlusconi e Renzi), con la conseguente ingovernabilità dei gruppi parlamentari, nonché le divergenze di fondo di linea politica e di prospettive, ribollenti in seno a ciascun partito, pur se, per ora, tacitate da un’unanimità di facciata. Appare chiaro che questa ulteriore instabilità sia imputabile, paradossalmente, da un lato, proprio all’effetto Draghi e, dall’altro, al terrore esistenziale di tutti i parlamentari, nessuno escluso, di dover subire, anzitempo, uno scioglimento delle Camere e un ritorno a casa, senza appello. Quegli stessi parlamentari che hanno votato, baldanzosamente, lo scriteriato taglio dei parlamentari. Unimpresa, insieme con il mondo dell’impresa e del lavoro, teme che questa conclamata crisi della politica possa diventare una irreversibile crisi istituzionale (e di governo), nel delicato appuntamento, tra soli 90 giorni, ferie natalizie comprese, per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica» commenta il segretario generale di Unimpresa, Raffaele Lauro. «Si tratta di un evento istituzionale primario che rischia di diventare il big bang della nostra democrazia agonizzante. Ciò, a fronte di impegni strategici che necessiterebbero, al contrario, di una forte coesione politica: l’attuazione delle riforme e dei progetti del Recovery Plan, la ripresa economica per le pmi, le misure urgenti per fronteggiare il crescente costo della vita e le drastiche decisioni finalmente da assumere, a partire, per legge, dall’obbligo vaccinale, per contenere la risorgente e minacciosa ondata pandemica, ormai alle porte» aggiunge Lauro.
Secondo il documento del Centro studi di Unimpresa, il Recovery fund per l’Italia ammonta complessivamente a 191,5 miliardi di euro: 68,9 miliardi corrispondono alla quota di sovvenzioni, mentre 122,6 miliardi sono prestiti, cioè denaro che andrà restituito all’Unione europea. Nel corso del 2021, l’Italia ha già ricevuto 24,1 miliardi, dei quali 11,5 miliardi di sovvenzioni e 12,6 miliardi di prestiti. I restanti 167,4 miliardi saranno pagati, progressivamente, nell’arco dei prossimi cinque anni. Nel 2022 sono previste due rate, per un totale di 46,0 miliardi (23,0 miliardi di sovvenzioni e 23,0 miliardi di prestiti): la prima entro il 30 giugno, pari a 24,1 miliardi (11,5 miliardi di sovvenzioni e 12,6 miliardi di prestiti); la seconda entro il 31 dicembre, pari a 21,8 miliardi (11,5 miliardi di sovvenzioni e 10,3 miliardi di prestiti). Nel 2023 sono previste altre due rate, per un totale di 39,1 miliardi (10,3 miliardi di sovvenzioni e 28,7 miliardi di prestiti): la prima entro il 30 giugno, pari a 18,4 miliardi (2,3 miliardi di sovvenzioni e 16,1 miliardi di prestiti); la seconda entro il 31 dicembre, pari a 20,7 miliardi (8,0 miliardi di sovvenzioni e 12,6 miliardi di prestiti). Nel 2024 sono previste due rate, per un totale di 33,9 miliardi (8,6 miliardi di sovvenzioni e 25,3 miliardi di prestiti): la prima entro il 30 giugno, pari a 12,6 miliardi (2,3 miliardi di sovvenzioni e 10,3 miliardi di prestiti); la seconda entro il 31 dicembre, pari a 21,3 miliardi (6,3 miliardi di sovvenzioni e 14,9 miliardi di prestiti). Nel 2025 sono previste due rate, per un totale di 27,6 miliardi (6,9 miliardi di sovvenzioni e 20,7 miliardi di prestiti): la prima entro il 30 giugno, pari a 12,6 miliardi (2,3 miliardi di sovvenzioni e 10,3 miliardi di prestiti); la seconda entro il 31 dicembre, pari a 14,9 miliardi (4,6 miliardi di sovvenzioni e 10,3 miliardi di prestiti). Nel 2026, ultimo anno del programma di finanziamento europeo per l’Italia, è prevista un’unica rata, entro il 30 giugno, pari a 20,8 miliardi (8,5 miliardi di sovvenzioni e 12,3 miliardi di prestiti).
«L’elemento sul quale è necessario porre maggiore attenzione è la ripartizione delle risorse europee tra sovvenzioni a fondo perduto, cioè denaro che non dovrà essere restituito all’Unione europea, e prestiti, cioè somme da rimborsare. Sui 191,5 miliardi complessivi, il 64,02% (122,6 miliardi) e il 35,98% (68,9 miliardi) si riferisce, invece, a sovvenzioni. Vuol dire che l’Italia, oltre al deficit di bilancio strutturale, ha già pianificato ulteriori 122,6 miliardi di nuovo indebitamento per il Paese. Si tratta di una cifra che corrisponde al 4,5% dell’attuale debito pubblico italiano, pari a 2.734 miliardi» commentano gli analisti di Unimpresa.
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