Le indagini sulle forze lavoro segnalano che oggi il 50% di chi ha un contratto a tempo determinato ha più di 30 anni. Nel caso delle donne addirittura più di 35 anni. Quindi, il contratto di apprendistato (che si applica solo a chi ha meno di 29 anni) non potrebbe riguardare questi precari. Nel caso dei co.co.co, l’età mediana è ancora più alta.
Se poi guardiamo ai dati su disoccupazione e dintorni, ci troviamo di fronte ad una vera e propria “catastrofe sociale”. In tre anni abbiamo perso centinaia di migliaia di posti di lavoro. Un lavoratore su tre è stato soggetto ad ammortizzatori per problemi nella sua azienda. La recessione minaccia nel 2012 una nuova raffica di licenziamenti.
In questa cornice, la questione dell’art. 18 è una delle tessere di un mosaico e come tale deve essere considerata. È tuttavia il tema più ostico del confronto appena avviato sulla riforma del mercato del lavoro tra il governo e le parti sociali.
Prevalgono retroscena e interpretazioni che mettono in risalto la determinazione del governo a procedere in qualche modo (quale ancora non emerge con chiarezza) sulla flessibilità in uscita, sebbene su questo tema tutti i sindacati abbiano manifestato la loro piena contrarietà.
Le imprese considerano la “robusta manutenzione” dell’articolo 18 come la scelta più idonea. Si consiglia di tirare fuori dall’area dell’articolo 18 questioni come i licenziamenti economici, nella parte che si presta a distorsioni in caso di ricorso alle vie giudiziarie. Ci si propone di trovare soluzioni per evitare che si allunghino con artifici i tempi, danneggiando lavoratori e aziende.
Sull’articolo 18, ricordo che per le Pmi, con meno di 15 lavoratori, il problema non si pone.
Cerchiamo allora di fare un po’ di ordine. La riforma del mercato del lavoro ha obiettivi generali condivisi da tutti i partecipanti al tavolo delle trattative: la lotta alla disoccupazione, in particolare giovanile, oggi al centro dell’attenzione europea, l’aumento dell’occupazione femminile, l’innalzamento dei livelli retributivi attraverso la crescita della produttività dei fattori. Queste priorità debbono essere perseguite nel più rigoroso rispetto dei vincoli europei.
Dagli obiettivi generali possono poi ricavarsi una serie di obiettivi intermedi: contrasto alla precarietà e valorizzazione della flessibilità virtuosa atta a incoraggiare gli investimenti e la crescita delle imprese; riordino degli ammortizzatori sociali attraverso una più uniforme distribuzione delle tutele sia fra segmenti del mercato sia durante il ciclo di vita delle persone.
Personalmente, auspico un intervento sul mercato del lavoro che tocchi tutto, partendo dall’ordinamento dei contratti che sono davvero tanti e che non sempre hanno dato buona prova.
Il contratto a tempo indeterminato ritengo vada considerato come contratto di riferimento per i lavoratori subordinati. Intorno a questo nucleo, poi occorrerebbe disciplinare ex novo il contratto a tempo determinato e introdurre forme virtuose di flessibilità, in un’ottica di razionalizzare delle tutele. Nel fare questo occorrerà contemperare esigenze specifiche legate alla garanzia dei diritti con forme che non scoraggino le imprese ad assumere.
C’è bisogno di un piano per l’occupazione giovanile stabile. Perché cali la precarietà occorrono di forti interventi. I fondi potrebbero provenire dall’unione europea: si pala di 8 miliardi di euro. Le ricette sono ben note: valorizzazione del capitale umano attraverso l’apprendistato, che dovrà diventare forma tipica di ingresso dei giovani; formazione sul posto di lavoro; riqualificazione professionale di chi ha perso l’occupazione; potenziamento delle politiche attive dei servizi per il lavoro che dovranno funzionare più efficacemente nel determinare l’incontro fra domanda e offerta.
Paolo Longobardi, presidente Unimpresa
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