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Riforma impopolare delle “popolari”

Il momento storico è sufficiente a giustificare qualunque intervento, anche quello su tradizioni bancarie che per anni hanno rappresentato il traino dell’economia locale e dello sviluppo del territorio? Il tema è quello della riforma delle banche popolari e dell’intervento a gamba tesa messo in atto dal governo. Infatti Credito cooperativo e “taglie piccole” escluse, il Consiglio dei ministri ha presentato una mezza rivoluzione che costringe “per necessità e urgenza”, considerato lo strumento legislativo utilizzato, dieci banche popolari italiane a rinunciare alla natura cooperativa, dove “una testa vale un voto”, e trasformarsi entro diciotto mesi in società per azioni, dove invece comanda chi ha più azioni.
In Italia sono dieci le popolari giudicate sufficientemente grandi da dover diventare “Spa”: dal Banco Popolare, la più grande di tutte, con un attivo tangibile superiore ai 123 miliardi, alla Popolare di Bari, la più piccola, con poco meno di dieci miliardi.
Il governo ha deciso che il nostro sistema bancario, pur “serio, solido e sano”, secondo Matteo Renzi, ha però “troppi banchieri e troppo poco credito”. Sarà, ma il patrimonio culturale, umano e di principi che un tempo era retroterra necessario anche per gli istituti bancari, ormai può andarsi a fare benedire. Ancora una volta la finanza trionfa sui valori.
Rilevante è anche il fatto che mentre i bancari  attraverso una lettera al Presidente del consiglio dei ministri hanno contestato  in toto la riforma delle banche cooperative, paventando che il provvedimento possa aprire la strada a colossi bancari internazionali interessati soltanto alla finanza speculativa e predatoria, Assopopolari ha lanciato ai sindacati dei bancari un allarme occupazionale che, per effetto della riforma, potrebbe colpire ventimila posti di lavoro.
Insomma davvero una riforma impopolare delle popolari.

Alfonso D’Alessio