Il disegno di legge presentato alla Camera dei Deputati dalla sinistra italiana a luglio 2023 propone (articolo 2, comma 1) che i 9 euro lordi all’ora siano comprensivi del minimo, degli scatti di anzianità, della 13° e/o 14° mensilità oltre che delle eventuali indennità fisse e continuative. In buona sostanza, il livello di retribuzione è poco più di 6 euro netti all’ora. È quanto emerge da un documento di Unimpresa. «La questione del salario minimo resta centrale del dibattito pubblico. Soprattutto, resta tanto caro alla sinistra italiana, colpita sulla “via di Damasco” da un improvviso senso di responsabilità per sostenere una parte, minoritaria, di lavoratori italiani non coperti da contrattazione collettiva come uno dei problemi dell’Italia nato qualche mese fa a causa di un Governo a cui non interessano i lavoratori. Unimpresa considera l’argomento del salario minimo di estremo interesse per la tutela e salvaguardia delle piccolissime e piccole imprese. È corretto affrontare il caso, anche se colpisce quella parte di lavoratori non coperti da contrattazione o di lavoratori non sindacalizzati: il problema in tutti i casi va risolto al meglio e velocemente. Tuttavia, distorcere con parole grosse, come dignità o vergogna, sembra un pretesto per non affrontare il nodo del salario minimo con intelligenza e concretezza, ma solo per interessi di parte» osserva il consigliere nazionale di Unimpresa, Marco Pepe, secondo il quale «da anni le aziende e i loro lavoratori che operano in settori soggetti all’appalto – non tutti, va precisato – devono fare i conti al centesimo per non rimetterci o addirittura fallire e, guarda caso, parliamo proprio di alcuni settori lavorativi privati – come la vigilanza privata, turismo, pulizie, call-center ed altri meno noti – nell’ambito dei quali per poter aggiudicarsi la commessa bisogna essere maghi, tenuto conto che inevitabilmente si deve eludere qualcosa nei confronti del fisco o dell’Inps. Per non dimenticare le forme cooperative che spesso non trattano il lavoratore come socio-lavoratore, ma semplicemente come lavoratore senza neppure assicurare i diritti sindacali di base. Ragion per cui, tra altro, sarebbe anche il caso di rivedere le forme giuridiche del sistema cooperativistico».
Secondo il consigliere nazionale di Unimpresa «il 30% circa di questi lavoratori è assunto, coi rispettivi contratti, nel livello più basso, quello di ingresso, che per sua natura non comporta né una qualificante professionalità né una adeguata preparazione e, di solito, il lavoratore rimane a questo livello per pochi anni per poi passare ai livelli successivi dove la quota oraria è già oltre i 9 euro lordi all’ora. E questi sono i lavoratori più fortunati. In altri contesti lavorativi, il restante 70% – a causa di una scarsa formazione professionale oppure a motivo dell’età (spesso si tratta di over 50) e senza un curriculum professionale adeguato, o a causa di problemi familiari o sanitari, oppure perché si vive in contesti sociali disagiati – “accetta” lavori pagati, quasi fosse una consuetudine non scritta da nessuna parte, alla soglia minima fissata dal Paese reale che si aggira intorno ai 6 euro netti all’ora. In questo nebbioso contesto, questi lavoratori, spesso trovano il modo di “aggiustare” il salario con lavori cosiddetti a nero. Spesso per convenienza. Ricapitolando: appalti privati, scarsa formazione e lavori in nero, questi ultimi sempre disponibili, creano un sotterraneo e reale problema che esiste da decenni. Non servono quindi grandi proclami o finte indignazioni. Oggi, più che mai questo Paese ha bisogno di persone il cui unico scopo è il reale interesse di tutti. Il lavoro cui il Cnel è stato chiamato, a nostro avviso, deve servire per fotografare al meglio queste realtà affinché, come è stato sostenuto, una buona analisi può facilmente generare una soluzione soddisfacente. Valga un esempio per tutti: così come al Ministero del lavoro esiste già una commissione che fissa le quote minime orarie per i lavoratori domestici, potrebbe essere possibile creare un commissione interministeriale – tra Lavoro, Economia e Pari opportunità, coinvolgendo l’Inps per le specifiche competenze: obiettivo dovrebbe essere fissare il minimo orario sulla base di specifici settori lavorativi negli adeguati contesti sociali, in primis gli appalti privati e non uno strambo e generico 9 euro lordi all’ora che non sono la realtà del lavoro di questo meraviglioso Paese, la cui spina dorsale è rappresentata dalle piccolissime e piccole imprese, l’80% del nostro tessuto produttivo».
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