di Marco Massarenti, Consigliere nazionale Unimpresa Sanità e Welfare
È dal 12 gennaio 2017 che in Italia, nel rispetto del DPCM, gli screening oncologici sono offerti gratuitamente alle persone appartenenti alle fasce di età considerate a maggior rischio.
Sono interventi di sanità pubblica di diagnosi precoce, offerti sistematicamente dal SSN attraverso un percorso organizzato di prevenzione secondaria per individuare un tumore, permettendo così di intervenire in modo tempestivo su di esso e ridurre la mortalità.
Si tratta di una modalità efficace di fare prevenzione oncologica che però rimane ad oggi un aspetto cruciale poco considerato dall’utenza, sia maschile che femminile. Uno studio pubblicato su BMC Public Health ha rilevato che le donne tendono ad essere più coinvolte negli screening per il cancro rispetto agli uomini, ma è anche vero che gli uomini hanno meno probabilità di doversi sottoporre.
L’aumento di quest’andamento frenato è sicuramente da attribuire alla pandemia, ma dati riportano come anche oggi, si fa fatica a pretendere verso questa pratica; sono moltissimi infatti, gli inviti cestinati.
La resistenza a sottoporsi agli screening oncologici nella popolazione è generalizzata. Si aderisce soprattutto per lo screening per il tumore al seno; minore l’adesione al pap-test, per la prevenzione del tumore della cervice uterina, e ancora meno quella per la ricerca del sangue occulto nelle feci e colonscopia per il tumore del colon retto.
Da alcuni dati ISS del 2020-2021 si rileva che in Italia solo il 77% delle donne fra i 25 e i 64 anni di età si è sottoposta allo screening cervicale fra il 2020 e il 2021 rispetto all’80% nel 2016-19. Un rapporto della FAVO sui primi 17 mesi di pandemia stima 2,8 milioni di screening oncologici saltati. Sono dati da temere se si pensa che circa una donna su 45 si ammala entro i 50 anni, una su 19 tra i 50 e i 69 anni, e una donna su 23 tra i 70 e gli 84 anni.
Persistono inoltre, differenze geografiche. L’attività di partecipazione agli screening è più diffusa al Nord con il 63% delle adesioni rispetto al Centro e zone meridionali e insulari dove solo il 41% risponde effettivamente all’invito ricevuto.
Per quel che riguarda la Lombardia nell’anno 2018 per lo screening mammografico sono state invitate 652.557 donne e hanno aderito in 365.684; 19.561 sono risultate positive alla mammografia di screening e 1.686 hanno avuto diagnosi di cancro. Ogni 100 invitate 64 aderiscono. Ogni 100 donne screenate 5 ricevono il consiglio di sottoporsi ad ulteriori accertamenti e di queste 5 ricevono diagnosi di cancro.
Per lo screening colorettale che si rivolge a donne e uomini di un’età compresa tra i 50 e i 74 anni, nell’anno 2018 sono stati invitate 1.264.700 persone e hanno aderito in 572.295. Sono risultate positive al test di screening 24.646 e 8.194 hanno avuto diagnosi di patologia (554 cancro, 2.751 adenomi avanzati, 4.889 adenomi iniziali).
Ogni 100 inviatati 48 aderiscono. Ogni 100 persone screenate 4 ricevono il consiglio di sottoporsi a colonscopia dei quali a 3 viene diagnosticato un cancro.
Per lo screening cervicale nel 2018 sono state invitate 217.754 donne e hanno aderito 96.312 per il pap-test e 4.394 per l’HPV-DNA; 4.044 sono state invitate a colonscopia e 413 hanno avuto diagnosi di CIN2+.
Stiamo qui a chiederci: qual è il motivo per cui una persona non debba usufruire di un’opportunità del genere che si traduce poi in diritto alla persona? I fattori che influiscono possono essere diversi e di diversa natura in quanto incidono variabili di personalità e status socio-culturale ed economico.
Tra questi troviamo gli impegni familiari e lavorativi, la pigrizia, la mancanza di tempo, la dimenticanza, la vergogna di sottoporsi ad esami imbarazzanti, ma soprattutto il timore di scoprire di essere malati.
La scelta di sottoporsi allo screening è particolarmente problematica per le persone che presentano un rischio maggiore di ammalarsi, a causa della familiarità della patologia. Diversi studi però dimostrano che Il pensiero di sottoporsi a un esame di screening può suscitare paura e ansia elevata quanto l’ansia di chi ha già avuto una diagnosi di tumore, anche per chi corre un rischio minore.
A seguito delle procedure, inoltre, si deve fare i conti con l’attesa degli esiti, altro momento che può condurre a stati di paura, ma informarsi può fare la differenza perché può aiutare a capire che i risultati sono nella gran parte dei casi negativi.
Bisogna entrare nell’ottica che qualora dovesse risultare un esito positivo, è proprio grazie a questo tipo di controllo sistemico che si identificano forme precancerose o una malattia ad uno stadio iniziale e più facile da curare.
Al momento dello screening è importante ricordare che quello in cui ci si trova è ancora uno stato di dubbio e anche se sono profilate tutte le possibilità negative, quelle positive non sono esonerate. Pertanto è utile mettere in atto strategie in modo da attendere con la maggiore serenità possibile l’esito dell’esame.
Per definizione gli screening si rivolgono a chi è sano, ma moltissimi sono i casi in cui fanno la differenza in termini di sopravvivenza e qualità della vita. Per questo è importante informarsi per poter compiere scelte consapevoli. Lo screening, per sua definizione è un esame che può cambiare il decorso della malattia, invero, non è un verdetto ma è anzi il campanello di allarme che permette di intervenire.
Oltretutto, pensare che il cancro sia inevitabilmente mortale influenza il processo di informazione, ci si imbatte perciò in un circolo vizioso che allontana ulteriormente dalla fruizione dello screening così come anche la convinzione di non essere a rischio. Le ricerche rilevano che sottovalutando il rischio di ammalarsi di cancro inevitabilmente ne viene sottovalutata la curabilità.
La loro utilità invece, viene costantemente dimostrata da studi scientifici internazionali e da statistiche realizzate dall’Osservatorio nazionale screening. Dai dati emerge che fare regolarmente la mammografia riduce il rischio di morire per tumore al seno del 40%. Eseguire il test per la ricerca del sangue occulto nelle feci diminuisce del 20% il pericolo di ammalarsi di carcinoma colorettale. Il Pap-test fa calare del 60-70% la probabilità di un cancro della cervice.
Oltre all’aspetto psicologico che pare faccia la sua gran parte nella scelta di accesso agli esami di screening, vi è sicuramente un altro fattore da tenere in considerazione: la modalità di erogazione di questo servizio.
Per aumentarne l’efficacia è assolutamente necessario attivare azioni che aumentino la partecipazione dei cittadini espandendone la consapevolezza. Diviene anche opportuno offrire un accesso ai servizi più capillare possibile istituendo più punti di erogazione dei test per agevolare i cittadini con difficoltà.
È ormai noto che 1 tumore su 3 potrebbe essere evitato seguendo corretti stili di vita svolgendo azioni quotidiane volte all’alimentazione, attività fisica, riposo e integrazione. A queste ne va aggiunta un’altra: fare prevenzione.
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