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Si aggrava la disoccupazione giovanile

A fornire dati freschi sulla situazione di esclusione dei giovani dal mercato del lavoro è l’Istat, con il presidente Enrico Giovannini che, davanti alla commissione Bilancio della Camera, ha sottolineato come le nuove generazioni siano sempre più in sofferenza a entrare nel mondo del lavoro. Anche perché, a fronte di un netto calo per i giovani (-2,5%), l’occupazione complessiva, sempre tra gennaio e settembre, qualche progresso lo ha fatto.
Secondo le stime pubblicate dall’Istat solo nei primi nove mesi del 2011 si contano già 80 mila occupati in meno tra i giovani. Per il governo, la “lotta alla disoccupazione giovanile è una priorità”, e nel mettere a punto la riforma, l’enfasi è stata posta soprattutto sull’istituto dell’apprendistato, ritenuto strumento principe per favorire l’ingresso dei giovani.
Questo è un punto fondamentale per il futuro occupazionale dei nostri giovani, ma è chiaro che l’apprendistato non può più essere limitato al solo inserimento, senza una parallela formazione sul campo. Pensiamo solo ai costi di questo apprendistato: in Germania è al 25% del minimo salariale, in Italia all’80%. Senza una parallela formazione si rischia di vanificare una reale opportunità di crescita per il lavoratore. Riformare perciò l’apprendistato e i tirocini significa rendere effettivo e qualitativo l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Il quale necessita oggi di poche regole chiare e applicabili da tutti, ma con la possibilità di contrattazioni aziendali a integrazione della cornice nazionale.
Le stime ci dicono che nel 2011 si sono persi oltre 100 mila occupati tra i giovani, mentre contemporaneamente l’80% delle assunzioni è avvenuta ricorrendo a contratti di lavoro precari. Per i giovani, quindi, la crisi non si è mai interrotta. Dobbiamo ricordare, per giunta, che la diminuzione accumulata nella media dei primi tre trimestri dello scorso anno, infatti, si somma all’emorragia di 482 mila unità registrata tra il 2009 e il 2010.
Insomma la caduta del biennio 2009-2010 non è bastata e i posti per gli under 30 continuano ancora a diminuire.
E il bilancio si aggraverebbe, sfondando quota mezzo milione, se si prendessero in considerazione anche i giovanissimi: nei primi due anni di crisi gli occupati in meno tra i 15 e i 29 anni sono stati 501 mila, stando a dati presentati dall’Istat in occasione dell’ultimo rapporto annuale.
La disoccupazione tra gli under 25 che in Italia è così salita al 31%, collocando il Paese alle spalle della sola Spagna. Tra gli under 30 si è registrata una diminuzione dei senza lavoro, anche se il loro tasso di disoccupazione rimane almeno 11 punti percentuali al di sopra di quello complessivo.
Restano preoccupanti anche i dati sulla condizione femminile. L’Istat evidenzia che in Italia “meno di una donna su due lavora, e la quota si abbassa al 30% se si guarda al Sud”. Non stupisce allora, come ha riportato Giovannini, osservare che “nel 2010 circa un quarto (24,5%) della popolazione in Italia era a rischio povertà ed esclusione sociale, valore più elevato della media europea (21,5% se calcolata sui soli 17 Paesi dell’area euro e 23,4% tra i 27 Paesi).
L’incremento della disoccupazione è senza ombra di dubbio congiunturale. I dati sulla disoccupazione, in genere, seguono il ciclo economico. Spesso, con un ritardo approssimativo di sei mesi/un anno. Il problema è che gli ammortizzatori sociali posti in essere durante la fase recessiva – come la Cassa integrazione guadagni – tutelano quelli che già sono dentro. Un cane che si mangia la coda. Chi ha un posto lo mantiene; chi, invece, non è ancora riuscito a entrare o era legato all’azienda da un rapporto di lavoro a tempo determinato – tipicamente i giovani – è sempre più, così, ostacolato a (ri)entrare nel mondo del lavoro.
I giovani sono le vittime di questo sistema iniquo. Il mercato del lavoro è troppo rigido, e la conseguenza è la flessibilità come porta aperta alla precarietà. Cioè non si investe sui giovani, sui loro talenti. Le aziende devono essere stimolate ad assumere i giovani con contratti a tempo indeterminato, ma questo non può significare inamovibilità, come è oggi. Dallo Statuto dei lavoratori allo Statuto dei lavori, potremmo riassumere, vincolato in sintesi alle competenze spendibili e misurabili. Proprio per questa inamovibilità le aziende oggi preferiscono, molte volte esagerando, contratti a tempo determinato, precarizzando così la sicurezza del lavoro.
Il dibattito sulla flessibilità del mercato del lavoro e sui licenziamenti facili, che rischia di provocare una situazione di muro contro muro tra governo e sindacati, è sterile. In termini di flessibilità, l’Italia ha già tutti gli strumenti normativi che servono. Ciò che occorre è che le imprese abbiano la volontà di assumere. Il che non può prescindere dallo scenario economico.
Se questa è la situazione, noi possiamo seguire due strade: limitarci alla denuncia massimalista, oppure ripensare davvero il quadro anzitutto normativo del mondo del lavoro, per offrire ai nostri giovani sbocchi reali.
Da parte del governo, il ministro del welfare ha riferito ai suoi colleghi dell’Ue che la riforma del mercato del lavoro che il Governo conta “di ultimare entro marzo”, sarà finalizzata a garantire una più alta partecipazione soprattutto dei giovani, delle donne e dei lavoratori anziani. Stando a quanto poi aggiunto dal ministro, la riforma del mercato del lavoro prevederà “sgravi fiscali e nuovi servizi anche sostenuti dal fondo sociale Ue”, misure indispensabili – ritengo – per favorire in special modo l’occupazione femminile e affrontare il problema del dualismo Nord-Sud.
Mi auguro che verranno adottate riforme coraggiose, e che il governo metta in campo un impegno straordinario per migliorare l’utilizzo degli strumenti esistenti.
Concludo con un appello. Noi oggi abbiamo responsabilità inedite nei confronti dei giovani e delle future generazioni. Inedite perché, oltre alla complessità propria dell’adolescenza, noi oggi sappiamo che, volenti o nolenti, abbiamo già scaricato su di loro le nostre contraddizioni. In poche parole: mentre i nostri padri, sacrificando fino al limite le loro vite, hanno investito sui propri figli, contribuendo così a far uscire dalla povertà i nostri territori e creando le basi del nostro benessere, noi abbiamo preferito spostare sul domani la soluzione dei nostri problemi. Proprio per questi motivi, noi tutti dobbiamo delle risposte ai giovani, e le migliori risposte, si sa, restano quello che dicono la verità ma con soluzioni concrete e praticabili. Dispiace, perciò, assistere spesso – sui temi del lavoro, dell’occupazione, etc. -, da parte di esponenti politici e di tecnici ad analisi e discorsi di mero principio, senza quella concretezza oggi da tutti richiesta, comprese proposte puntuali e con copertura finanziaria, che è l’unica ancella, oggi più di ieri, della domanda di speranza in un futuro possibile.

Paolo Longobardi, presidente Unimpresa

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