di Paolo Longobardi, Presidente Onorario di Unimpresa
Negli ultimi anni, il mondo del lavoro ha subito una trasformazione profonda, accelerata dalla pandemia di Covid-19. Lo smart working, o lavoro da remoto, è emerso come una delle risposte più efficaci per garantire la continuità delle attività lavorative in un momento di crisi globale. Tuttavia, a fronte dei numerosi benefici percepiti, è essenziale valutare attentamente i rischi insiti in questa nuova modalità. Lungi dall’essere una soluzione definitiva, lo smart working richiede un approccio bilanciato che tenga conto delle complesse dinamiche tra produttività, benessere e capitale umano.
Uno dei benefici principali dello smart working per le imprese è la riduzione dei costi fissi legati agli spazi fisici. Secondo un rapporto del Politecnico di Milano, le aziende italiane che hanno adottato il lavoro da remoto in modo strutturale hanno risparmiato mediamente il 30% sulle spese relative a uffici, utenze e manutenzione. Questa riduzione dei costi consente alle imprese di reinvestire in altri ambiti, quali ricerca e sviluppo o innovazione tecnologica. Inoltre, l’adozione dello smart working ha permesso a molte realtà di espandere la propria capacità di attrarre talenti, superando i vincoli geografici tradizionali e accedendo a un bacino globale di competenze.
Per i lavoratori, lo smart working rappresenta un’opportunità di conciliare in modo più efficace le esigenze della vita privata con quelle professionali. La possibilità di eliminare o ridurre drasticamente i tempi di spostamento casa-lavoro ha un impatto significativo sul benessere individuale. Un’indagine condotta da Eurostat nel 2022 ha rivelato che il 77% dei lavoratori europei in smart working ha dichiarato di percepire un miglioramento della qualità della vita, grazie a una maggiore flessibilità nell’organizzazione delle proprie giornate. Tuttavia, questi vantaggi, sebbene tangibili, non devono far perdere di vista i rischi potenziali insiti in un’applicazione generalizzata e non strutturata del lavoro da remoto.
Uno dei pericoli più insidiosi dello smart working riguarda l’impoverimento del capitale umano aziendale. Le imprese, pur beneficiando in termini economici, rischiano di perdere il contatto diretto con i propri dipendenti. La crescita professionale, infatti, non è solo il frutto dell’esperienza tecnica, ma anche delle relazioni interpersonali che si instaurano quotidianamente negli ambienti di lavoro. Il mentoring informale, la condivisione di conoscenze e la creazione di reti sociali sono tutti elementi che contribuiscono alla formazione del capitale umano. Senza la dimensione fisica dell’ufficio, queste dinamiche tendono a ridursi, con effetti negativi sia sulla produttività individuale che sullo spirito di squadra.
Un’indagine della Società Italiana di Psicologia del Lavoro ha evidenziato come il 65% dei lavoratori in smart working percepisca una maggiore difficoltà a mantenere relazioni significative con colleghi e superiori. Questo dato mette in luce uno degli aspetti più problematici della digitalizzazione del lavoro: la scomparsa della socialità quotidiana. Gli incontri casuali alla macchinetta del caffè o i colloqui improvvisati nei corridoi possono sembrare irrilevanti, ma rappresentano momenti preziosi per la costruzione di relazioni di fiducia e collaborazione. Con lo smart working, questa dimensione sociale viene quasi completamente azzerata, rischiando di compromettere non solo il benessere psicologico dei dipendenti, ma anche la capacità delle imprese di innovare e adattarsi ai cambiamenti.
Accanto all’impoverimento delle relazioni, un altro rischio cruciale è quello della disconnessione emotiva. Lavorare da casa può creare un senso di isolamento che, a lungo andare, si traduce in una diminuzione della motivazione e dell’engagement. Lo smart working, se non gestito con attenzione, rischia di trasformare i dipendenti in “unità produttive” isolate, con un conseguente declino del senso di appartenenza all’azienda. Questo aspetto è particolarmente critico nelle organizzazioni che fanno dell’innovazione e della creatività i loro pilastri. La collaborazione spontanea e la contaminazione di idee, infatti, avvengono spesso grazie a incontri fortuiti e informali che il lavoro da remoto non può replicare in modo efficace.
Studi recenti del Harvard Business Review indicano che le imprese con modelli di lavoro completamente da remoto registrano un calo del 20% nel livello di engagement dei dipendenti rispetto alle aziende che mantengono una componente fisica. Questo dato sottolinea l’importanza di trovare un equilibrio tra il lavoro in ufficio e quello da remoto, per evitare che il distacco fisico si traduca in una perdita di motivazione e di partecipazione attiva alla vita aziendale.
Alla luce di questi elementi, è evidente che lo smart working, pur offrendo opportunità significative, non può essere considerato una panacea per tutti i mali del lavoro contemporaneo. Le aziende devono affrontare questa trasformazione con prodezza ed equilibrio, adottando modelli ibridi che combinino il meglio delle due dimensioni: quella fisica e quella virtuale. È fondamentale, infatti, non perdere di vista l’importanza delle relazioni umane, della socialità e del capitale emotivo che si sviluppa negli ambienti di lavoro tradizionali.
Un possibile modello da seguire potrebbe essere quello della “settimana corta” in presenza, con la possibilità di lavorare da remoto per alcuni giorni. Questa soluzione, già adottata da diverse multinazionali, consente di ridurre i costi senza sacrificare completamente la dimensione sociale e relazionale del lavoro. Inoltre, investire in tecnologie che facilitino la collaborazione e la comunicazione tra i team, anche a distanza, rappresenta una strategia essenziale per mantenere alto il livello di engagement e motivazione.
Lo smart working non è semplicemente una scelta di efficienza economica o di comodità per i lavoratori: è una trasformazione profonda del modo in cui intendiamo il lavoro e le relazioni professionali. Se gestito con consapevolezza e lungimiranza, può rappresentare una straordinaria opportunità per rendere il lavoro più flessibile e inclusivo. Tuttavia, ignorare i rischi legati alla perdita di capitale umano e alla disconnessione sociale potrebbe avere conseguenze deleterie nel lungo termine. La sfida, per le imprese e per i lavoratori, è quella di trovare il giusto equilibrio, sfruttando al meglio le potenzialità del digitale senza perdere di vista l’essenza umana del lavoro.
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