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SPREAD: UNIMPRESA, MEDIA 2023 INFERIORE DI 20 PUNTI BASE RISPETTO A 2022

Nel corso del 2023, la media dello spread tra btp italiani e bund tedeschi è stata di 20 punti base inferiore rispetto alla media registrata l’anno scorso: 176 punti contro 196. Il differenziale tra i titoli di Stato italiani e titoli pubblici della Germania ha cominciato a crescere, nel corso del 2022, in coincidenza con l’aumento del costo del denaro deciso dalla Banca centrale europea: il picco massimo dell’ultimo triennio, infatti, è stato raggiunto tra luglio e agosto quando il tasso base Bce è stato portato, da zero, prima allo 0,50% e poi all’1,25%. È quanto emerge da un report del Centro studi di Unimpresa, secondo il quale la salita dello spread è riconducibile alla fiammata dei tassi di interessi e, nonostante i continui rialzi deliberati dalla Bce, il divario tra Italia e Germania è rimasto su livelli che non destano preoccupazione. La maggiore spesa per interessi sul debito pubblico, in ogni caso, è dovuta proprio al più alto livello dei tassi d’interesse che imporrà al Tesoro italiano di incrementare la remunerazione riconosciuta ai sottoscrittori di bot e btp, in aumento dagli 85 miliardi di euro del 2022 agli oltre 100 miliardi del 2023. «Il livello dello spread ci preoccupa così come ci preoccupa l’aumento della spesa per interessi su bot e btp perché quei 15 miliardi di euro che l’anno prossimo il Tesoro dovrà riconoscere a chi compra il nostro debito verranno sottratti ad altri, fondamentali interventi per le famiglie e per le imprese. Tuttavia, troviamo stucchevole la speculazione politica su questi argomenti, perché chi attacca il governo su interessi e debito di fatto fa la guerra all’Italia e non a una sola parte politica» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora. 

Per quanto riguarda lo spread tra btp e bund, la media del 2023 è pari a 176 punti base, un valore inferiore di 20 punti rispetto ai 196 punti del 2022. Nel corso del 2021, la media è stata pari a 111 punti base. La curva del differenziale è rimasta piatta per tutto il 2021, in linea con il livello del costo del denaro che, due anni fa, è rimasto stabilmente a livello zero. L’aumento dell’inflazione e quindi il consequenziale incremento dei tassi Bce hanno progressivamente portato a un ampliamento del divario sui titoli di Stato a partire da gennaio 2022. Dal picco raggiunto a settembre 2022, pari a 242 punti, si è scesi progressivamente, salvo il ritorno a 219 punti di dicembre, fino ai 160 punti di luglio scorso: un contenimento raggiunto anche in presenza dell’aumento incessante del costo del denaro.

Secondo il Centro studi di Unimpresa, che ha elaborato dati della Banca d’Italia, l’incremento del costo del denaro deliberato dalla Banca centrale europea, nell’ambito della politica monetaria restrittiva volta a contenere l’inflazione, comporterà, per le casse dello Stato, un aggravio in termini di una maggiore spesa per interessi sui titoli pubblici: nel Documento di economia e finanza (Def) approvato lo scorso aprile, il costo del servizio del debito per il 2024 era stimato in 85,1 miliardi, ma con la Nota di aggiornamento allo stesso Def (licenziata il 27 settembre) questa voce del bilancio è stata rivista al rialzo e portata a circa 100 miliardi. La stima preliminare è di un extra costo pari a 14-15 miliardi che si traduce in un aumento del 17,6%. A giugno scorso il totale del debito pubblico era pari a 2.848,1 miliardi di euro: il 26,9% pari a 766,6 miliardi è sottoscritto da investitori esteri, il 25,4% cioè 723,2 miliardi è detenuto dalla Banca d’Italia, il 23,7% ovvero 675,4 miliardi è nei portafogli delle banche, il 12,2% pari a 347,6 miliardi è in mano ai fondi e il restante 11,8% cioè 335,1 miliardi è posseduto dalle famiglie. I maggiori interessi faranno consequenzialmente salire l’incasso per tutte le fasce di sottoscrittori di titoli di Stato: per gli investitori esteri il vantaggio sarà pari a 4 miliardi (da 22,9 miliardi a 26,9 miliardi), per la Banca d’Italia il “premio” sarà pari a 3,8 miliardi (da 21,6 miliardi a 25,4 miliardi), per le banche è prevedibile un bonus di 3,5 miliardi (da 20,2 miliardi a 23,7 miliardi), per i fondi ci sarà una remunerazione aggiuntiva di 1,8 miliardi (da 10,3 miliardi a 12,2 miliardi) e le famiglie potranno beneficiare di 1,7 miliardi in più (da 10 miliardi a 11,7 miliardi).

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