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Stati generali: Unimpresa, piano rilancio con meno tasse e zero burocrazia

Il vicepresidente Spadafora: «Agire rapidamente, con coraggio politico e innovazione tecnico-normativa. È il momento della concretezza». Dalla crisi Covid-19 rischi per 150 miliardi di pil. Il 52% delle imprese del Paese è composto di “ditte” individuali, il 91% circa conta meno di cinque addetti; sul totale di 6,1 milioni di soggetti economici iscritti alle camere di commercio, solo 1.901 hanno più di 500 lavoratori. Total tax rate pmi e partite Iva al 64%, per gli adempimenti burocratici, alle aziende italiane servono tra 30 e 40 giorni l’anno. Prestiti bancari garantiti dallo Stato a rilento: «Sono comunque nuovo debito». Pil italiano calerà fino al 13 per cento

«Il progetto di rilancio dell’Italia deve fondarsi su due pilastri principali: meno tasse e zero burocrazia. Il total tax rate per partite Iva e piccole, medie imprese italiane ha raggiunto il 64 per cento del loro fatturato. Per svolgere tutti gli adempimenti burocratici occorrono tra i 30 e i 40 giorni l’anno. Ecco perché solo con una importante defiscalizzazione e con un alleggerimento delle regole per chi fa impresa, è immaginabile intravedere spiragli di futuro. Gli sforzi delle istituzioni politiche, pertanto, vanno concentrati in queste due direzioni: il carico tributario va alleggerito in maniera drastica (Ires, Irap, Irpef, Iva), così da favorire, di fatto, l’emersione di maggiori risorse sui bilanci delle aziende; norme volte a sterilizzare qualsiasi adempimento burocratico, magari a tempo, sia per chi intende pianificare investimenti sia per chi è orientato ad aprire nuove attività darebbe slancio ed entusiasmo agli imprenditori italiani». Lo ha detto il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora, nel corso degli Stati generali dell’economia a Villa Pamphilj, illustrando al governo “Idee e proposte per il futuro del Paese”. Secondo Spadafora «le risorse vanno trovate sfruttando tutti i margini di flessibilità concessi dall’Unione europea, senza dimenticare che un drastico taglio della pressione fiscale sarebbe capace di favorire immediatamente nuova base imponibile. Il saldo del gettito tributario, già in una prima fase di applicazione, potrebbe essere in pareggio se non addirittura in attivo. I frutti di iniziative incisive potrebbero essere raccolti in tempi rapidi, accrescendo la produttività e favorendo la nascita di nuovi posti di lavoro oltre che il mantenimento degli attuali livelli occupazionali. Una svolta significativa potrebbe contribuire a sbloccare gli oltre 4.400 miliardi di euro di risparmi dei privati. Solo nei primi quattro mesi del 2020, sui depositi e sui conti correnti bancari, sono stati accumulati 54 miliardi di euro. Sono state accumulati fondi per i timori della pandemia e per l’incertezza del futuro».

Secondo un documento di Unimpresa consegnato al premier, Giuseppe Conte, gli effetti del Coronavirus possono creare danni su 150 miliardi di euro di prodotto interno lordo ovvero quasi il 10% dell’economia italiana: si tratta di 64 miliardi del settore alberghiero e ristorazione, 53 miliardi del trasporto, oltre 8 miliardi del comparto noleggio e leasing, 2 miliardi riferibili alle agenzie di viaggio e ai tour operator, quasi 11 miliardi riconducibili a musei, cinema e teatri, oltre 7 miliardi del settore sport e tempo libero. Più nel dettaglio, su 146,1 miliardi (dati riferiti al 2019) che corrispondo al 9,12% del pil italiano. Nel dettaglio, si tratta di 64 miliardi del settore alberghiero e della ristorazione, di 53 miliardi delle imprese di trasporto, di 8,1 miliardi dell’area noleggio e leasing, di 2 miliardi “fatturati” da agenzie di viaggio e tour operator, di 10,8 miliardi dello spettacolo (musei, cinema e teatri), di 7,6 miliardi del comparto sport e tempo libero. In particolare, il settore dei trasporti comprende 47,2 miliardi di autobus e vetture, 3,9 miliardi di navi e traghetti, 2,1 miliardi delle compagnie aeree. Quanto alle imprese,  il quadro imprenditoriale italiano è diverso da tutto il resto d’Europa: il 52% delle imprese del Paese sono “ditte” individuali, il 91% circa conta meno di cinque addetti. Sul totale di 6,1 milioni di soggetti economici iscritti alle camere di commercio, solo 1.901 hanno più di 500 lavoratori. Si tratta di un aspetto che non deve mai essere trascurato, soprattutto nel momento in cui il governo si accinge a tracciare la rotta per la ripresa dell’economia. Per il prodotto interno lordo il calo atteso è nell’ordine delle due cifre percentuali. A livello globale, le ultime stime rivelano che la caduta dell’economia potrebbe attestarsi tra il 6 e il 7,6 per cento. Per quanto riguarda l’Italia, la prospettiva è di un calo ancora più vistoso, tra il 9 e il 13 per cento.

«Occorre agire rapidamente, con coraggio politico e innovazione tecnico-normativa. È il momento della concretezza. I decreti varati nelle scorse settimane sono solo parzialmente serviti per tamponare l’emergenza, hanno funzionato in parte per la liquidità che improvvisamente è mancata a causa del cosiddetto lockdown. I prestiti delle banche garantiti dallo Stato sono nuovo debito per gli operatori economici. L’elevato tasso di indebitamento finanziario, assieme a un complesso meccanismo burocratico, ha reso queste misure – soprattutto nella fase iniziale, peraltro quella più importante – sostanzialmente inservibili. Anche la strategia di ripresa si deve fondare su una Fase 1, quella della gestione dell’emergenza con le misure su liquidità e cassa integrazione; una Fase 2, quella del rilancio immediato con interventi su fisco e burocrazia; e una Fase 3, con un ampio progetto per il Paese, che passa soprattutto per una robusta ripartenza degli investimenti in grandi opere pubbliche, per la riforma della giustizia civile e per un ammodernamento della macchina amministrativa. Non si tratta soltanto di rendere appetibile il Paese per gli investitori stranieri, ma di stimolare anzitutto gli investimenti interni. Il rischio è lasciare vaste praterie a fondi esteri che verranno in Italia a comprare le nostre aziende in affanno, ma a prezzi di saldo. In assenza di interventi per le imprese, in prospettiva ci sarebbe prima una desertificazione, poi una colonizzazione. Ma non ha senso predisporre, adesso, un piano ampio e lunare: non abbiamo tempo a disposizione per preparare un pacchetto di proposte articolate; né di valutare micro-misure con interventi a pioggia (peraltro mai efficaci); non è questo il momento di studiare complesse riforme legislative. Esistono spazi e risorse per rilanciare l’Italia: vanno create le condizioni per centrare gli obiettivi. Non si deve fare campagna elettorale su un terreno martoriato dalla pandemia e dalla crisi economica: è il momento della concretezza, occorre mettere da parte le ambiguità» ha aggiunto il vicepresidente di Unimpresa.

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