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STELLANTIS: UNIMPRESA, PROBLEMA NON SOLO TECNOLOGICO MA POLITICO

«La notizia del tracollo produttivo di Stellantis nei primi nove mesi del 2024, con un calo del 31,7% nella produzione di veicoli rispetto all’anno precedente, è solo l’ultimo campanello d’allarme di una crisi profonda che attanaglia l’intero settore dell’automobile in Italia. Tutti gli stabilimenti produttivi del gruppo sono in rosso, con una perdita del 40,7% per quanto riguarda la produzione di automobili e del 10,2% per i veicoli commerciali. È un bollettino di guerra che non lascia spazio a interpretazioni: il settore auto è in ginocchio. A cosa dobbiamo questo scenario allarmante? La risposta è sotto gli occhi di tutti: il peso delle normative europee sulla transizione ecologica e digitale sta schiacciando le capacità produttive e competitive delle nostre aziende. Il termine del 2035, fissato dall’Unione Europea per l’abbandono definitivo delle auto con motore termico, si avvicina minacciosamente, e il settore auto non è pronto ad affrontare questo passaggio senza subire danni irreversibili. Le norme, che impongono una drastica riduzione delle emissioni di CO2 e una rapida conversione verso l’elettrico, sono state varate con un entusiasmo ideologico che non ha tenuto conto della realtà produttiva, economica e sociale del nostro continente, e in particolare dell’Italia. Ma il problema non è solo tecnologico o economico. È anche politico».

Lo dichiara il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora, commentando i dati diffusi oggi dalla Fim. «Le scadenze imposte dall’Unione Europea sono state fissate in un contesto in cui l’industria automobilistica europea era ancora forte e in grado di competere a livello globale. Oggi, quel contesto è radicalmente cambiato. La concorrenza di paesi extraeuropei, in particolare asiatici, che non sono vincolati dalle stesse normative stringenti, sta erodendo sempre di più le quote di mercato delle aziende europee. Se non si interviene tempestivamente, il rischio è che l’industria automobilistica europea venga progressivamente marginalizzata, con conseguenze devastanti per l’occupazione e l’economia del nostro continente. È quindi necessario un cambio di rotta. L’Unione Europea deve prendere atto che la scadenza del 2035 è irrealistica e insostenibile. Serve una revisione delle normative che tenga conto delle reali capacità di adattamento dell’industria, senza imporre una transizione forzata che rischia di fare più danni che benefici. Rinviare il termine per la cessazione della produzione di veicoli con motore termico è una scelta di buon senso, che permetterebbe al settore di affrontare la transizione in modo più graduale e sostenibile. È imperativo che l’Europa non diventi schiava di un’ideologia green che, se applicata in modo rigido e sconsiderato, potrebbe portare al tracollo di interi comparti produttivi. Il governo italiano ha il dovere di farsi portavoce di questa istanza in sede europea. Non possiamo permetterci di assistere passivamente al declino di un settore strategico come quello dell’automotive, che rappresenta una parte fondamentale della nostra economia e del nostro sistema industriale. È necessario che l’Italia, insieme ad altri Paesi che condividono le stesse preoccupazioni, chieda con forza una revisione delle scadenze imposte dall’Unione Europea, spingendo per una proroga del termine fissato al 2035» aggiunge Spadafora.

Secondo il Centro studi di Unimpresa, Stellantis, con i suoi 387.600 veicoli prodotti nei primi nove mesi dell’anno, rappresenta solo un tassello di un quadro molto più ampio.

Le previsioni per il 2024 parlano di una produzione sotto le 300.000 unità per le auto e 500.000 unità complessive, una riduzione di un terzo rispetto al 2023.

Non è un caso isolato: l’intera filiera produttiva, che comprende non solo i grandi gruppi ma anche le piccole e medie imprese fornitrici, sta affrontando difficoltà estreme nel far fronte a una transizione che appare, nei tempi e nei modi, del tutto insostenibile.

I veicoli elettrici, che dovrebbero rappresentare il futuro della mobilità, non hanno ancora raggiunto quella diffusione tale da garantire una sostituzione massiva dei mezzi tradizionali.

I costi di produzione rimangono elevati, e i consumatori sono restii ad abbracciare una tecnologia che, ad oggi, presenta ancora diversi limiti.

Le infrastrutture per la ricarica, specialmente in Italia, non sono sufficientemente sviluppate, e il costo dell’elettricità, unito all’instabilità del mercato energetico, rende poco conveniente il passaggio all’elettrico.

«Il nostro Paese, con la sua lunga tradizione industriale e la sua eccellenza nella produzione automobilistica, non può essere costretto a seguire acriticamente una rotta che non tiene conto delle nostre specificità. La transizione verso un’economia più verde è un obiettivo importante, ma deve essere perseguito con equilibrio e realismo, senza mettere a rischio la sopravvivenza delle nostre imprese e dei nostri posti di lavoro. Il futuro dell’automobile in Europa è in bilico, e le decisioni che verranno prese nei prossimi mesi saranno cruciali per il destino del settore. L’Unione Europea deve ascoltare la voce di chi, come l’Italia, chiede un approccio più pragmatico e sostenibile. Il governo italiano deve agire con decisione per difendere i nostri interessi e garantire che la transizione ecologica non si trasformi in una catastrofe industriale. Rinviare la fine della produzione delle auto con motore termico non è una resa, ma una scelta di buon senso, nell’interesse di tutti» spiega il vicepresidente di Unimpresa. 

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