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Sud: Unimpresa, formazione e investimenti per rilancio

Presentato al governo un documento sul Mezzogiorno con le proposte dell’associazione. Valerio Ricci (comitato presidenza Unimpresa): “Con la legge di stabilità il Sud è stato abbandonato”

Un grande piano di investimenti nella formazione del capitale umano. Investimenti per la scuola, l’università, la ricerca. E poi un importante piano di manutenzione di quanto costruito negli anni ’50 e che oggi è più che degradato, con un progetto di manutenzione e valorizzazione del grandioso patrimonio culturale, artistico e archeologico. Queste alcune delle proposte per rilanciare il Sud Italia contenute nel documento che Unimpresa ha presentato al governo e consegnato oggi, in particolare, al ministro per lo Sviluppo economico, Federica Guidi.

“Sembrava fatta e invece alla fine le misure in favore del Sud non hanno trovato spazio negli interventi correttivi alla legge di stabilità. Si era parlato concretamente di crediti di imposta per le assunzioni nel 2016 e di un aumento delle decontribuzioni sui nuovi contratti di lavoro. Prendiamo atto con rammarico che il governo, nonostante le rassicurazioni ufficiali continue ha letteralmente abbandonato il Mezzogiorno ” commenta il delegato al Mezzogiorno del comitato di presidenza di Unimpresa, Valerio Ricci. “Le imprese che operano nell’Italia meridionale non chiedono assistenzialismo di Stato, ma aiuti per ripartire da una situazione che è nettamente diversa a quella di tutto il resto del Paese. Di qui le agevolazioni che erano state chieste e accettate dall’esecutivo, salvo ripensarci come spesso accade all’ultimo minuto. Bisogna capire una volta per tutte che la ripresa del Sud aiuterebbe tutto il Paese, in termini di maggiori consumi, gettito fiscale, prodotto interno lordo” aggiunge Ricci che ha coordinato il documento dell’associazione presentato al governo.

Per Unimpresa, la sfida per la ripartenza del Sud e delle sue imprese, passa attraverso la capacità e di rilanciare la programmazione negoziata e di contestualizzarla al particolare momento di recessione, per elevarla ad un più sistematico “sviluppo negoziato” dei territori e di relazionarli, possibilmente con processi codificati, sotto il profilo economico e sociale anche con altre aree del Paese, per fare massa critica e coesione offrendo, così, una nuova interpretazione a carattere non esclusivo della materia negoziale come già avvenne in altre epoche. Un passaggio ineludibile, visto anche l’imprintig, sempre più marcato, dettato dall’Ue volto a rafforzare la cooperazione transfrontaliera e transnazionale, tramite la cooperazione e lo scambio di esperienze a livello interregionale.

Bisogna mettere a sistema quei meccanismi virtuosi, gli strumenti tradizionali di policy, che hanno uno “storico” interessante fermo restando che devono essere accompagnati da investimenti, come su detto, sul capitale sociale e sulla capacità di sviluppare creatività nel sistema produttivo locale attraverso anche la dotazione di infrastrutture sociali e/o immateriali nella convinzione che un miglioramento generale del contesto potrà favorire anche la ripresa economica.

Serve uno sviluppo negoziato che sia una sorta di piattaforma dove interagiscono organicamente buone prassi già tracciate. Per le imprese non c’è più spazio per il “fondo perduto” ma è insdispensabile che il processo negoziale 2.0, prevedesse un interazione con il microcredito e la micro finanza e che, soprattutto, venisse accompagnato da protocolli specifici con il sistema bancario e creditizio; vorremmo un coinvolgimento più diretto del sistema Cofidi; così come ci piacerebbe un attenzione particolare ai processi di ricambio generazionale all’interno delle pmi. Parallelamente, l’associazione propone: il rifinanziamento della nuova legge Marcora (legge 57/01); il rilancio dei distretti industriali quale contesto dove poter organizzare delle filiere di subfornitura; un percorso di promozione, sensibilizzazione ed organizzazione dei distretti rurali che possono essere dei sistemi produttivi locali caratterizzati da un’identità storica e territoriale omogenea derivante dall’integrazione fra attività agricole ed altre attività locali, nonché dalla produzione di beni o servizi di particolare specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali.

La nuova strategia deve anzitutto favorire per le micro-piccole imprese l’utilizzo di strumenti di microcredito e microfinanza dedicati alle microimprese di tipo tradizionale (artigiani, commercianti, imprese turistiche, micro imprese manifatturiere prettamente proiettate sul mercato domestico) insieme al potenziamento di misure atte a favorire il credito ordinario (come l’azione del Fondo di garanzia del e gli accordi di moratoria sul credito). La nuova strategia, poi, deve accompagnare le piccole-medie imprese in un rapido processo di “debancarizzazione” a favore di misure complementari al credito ordinario come l’emissione di mini-bond, il venture capital (come previsto dalla Direttiva PCM in attuazione dello SBA del 4 maggio 2010) o la quotazione in Borsa (attraverso l’utilizzo di segmenti dedicati alle PMI) molto interessanti per le piccole imprese di “fascia alta” o cosiddetta “Middle class di impresa” e alle medie imprese.

“Riteniamo sia giunto il momento di sposare con più convinzione la “logica del fare” rinunciando, parallelamente, agli ottimi distillati di demagogia i cui risultati ovvero i suoi palpabili e costanti insuccessi, sono sotto gli occhi di tutti. Soprattutto delle popolazioni e delle pmi del Sud Italia” osserva Ricci.

L’Italia, le PMI e la ripresa economica. Si può ripartire dal Mezzogiorno

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