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UCRAINA: UNIMPRESA, IN RUSSIA 130 AZIENDE ITALIANE, A RISCHIO 13 MILIARDI DI FATTURATO

Sono 130 le aziende italiane presenti in Russia, con 60 stabilimenti produttivi nei settori agroalimentare, industria e servizi, con un fatturato di oltre 13 miliardi di euro l’anno. Un imponente giro d’affari che adesso è minacciato dalla guerra in Ucraina e dalle crescenti tensioni tra Mosca e Kiev. Lo segnala Unimpresa. «La crisi in atto determina la necessità immediata di essere tutelate dalla diplomazia italiana ed aiutate economicamente se necessario» dichiarano il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora, e il presidente di Gim Unimpresa, Vittorio Torrembini.

Entrambe le associazioni, che collaborano dal 2018 in virtù di un accordo, sono impegnate attivamente, in questa fase di tensione tra l’Europa e la Federazione Russa, nella gestione dei rapporti istituzionali con le autorità locali russe ed italiane. Durante un incontro, questa mattina, sono state analizzate le perdite economiche derivanti dalla repentina rescissione di contratti e commesse unite all’impossibilità di vendere prodotti dalla Russia a causa del blocco per le transazioni bancarie internazionali swift; una situazione che sta provocando forte apprensione sulle aziende coinvolte, con le ricadute negative in termini di fatturato che graveranno anche sull’occupazione, sia in Russia sia in Italia. «Auspichiamo, da parte del Governo italiano, una presa di coscienza che ponga in agenda, in tempo strettissimi, la ridefinizione del ruolo delle aziende italiane presenti in Russia. L’appello rivolto al Governo mira a ottenere oltre alle azioni di accompagnamento economico e di mitigazione dei danni subiti, l’applicazione delle sanzioni sul modello Usa. Gli Stati Uniti, a differenza dell’Italia, hanno autorizzato le proprie imprese presenti in Russia a operare commercialmente. Gli Stato fanno le guerre anche quando i popoli vogliono vivere in pace e commerciare pensando al futuro delle generazioni, ma i costi di vite umane ed economici non possono e non debbono ricadere su questi per decisioni non prese da loro» osservano Spadafora e Torrembini.

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