L’avvio della guerra della Russia in Ucraina avrà effetti negativi sulle economie dell’area euro e sull’Italia in particolare, con un aumento aggiuntivo dell’inflazione pari all’1,8% sia quest’anno sia nel 2023, che porterà il caro-prezzi a galleggiare attorno al 6% e andare oltre, mentre il prodotto interno lordo del nostro Paese subirà un contraccolpo superiore all’1%, con la corsa che si fermerebbe ben al di sotto del 4%. È quanto emerge da un’analisi del Centro studi di Unimpresa, che ha ipotizzato diversi scenari in relazione all’evolversi della crisi russo-ucraina e le conseguenze sulla crescita economica dell’area euro. Le principali ripercussioni, secondo Unimpresa, si avvertiranno sul versante del prezzo delle materie prime, in particolare gas e petrolio, con consequenziali effetti sul prezzo dell’energia, ma anche su materie prime alimentari, come il grano, provocando inevitabilmente un incremento dell’inflazione fra il +0,8% e il +1,8% nell’ipotesi di un vero e proprio conflitto locale duraturo, che si sta prospettando concretamente. «Ci prepariamo, sul versante economico, a un disastro» commenta il presidente onorario di Unimpresa, Paolo Longobardi, secondo il quale «il decreto varato dal governo la scorsa settimana per alleviare l’aumento della bolletta energetica potrebbe essere insufficiente già a stretto giro: le misure non tengono conto delle inevitabili ripercussioni, sul resto d’Europa, della guerra di Mosca contro Kiev».
Il Centro studi di Unimpresa ha ipotizzato, in relazione all’Italia, tre diversi scenari per l’evoluzione della vicenda tra Russia e Ucraina. Lo scenario di base, ormai superato dalla guerra avviata oggi, fa riferimento a una situazione che potrebbe risolversi positivamente in pochi mesi, senza un vero e proprio teatro bellico: in questo caso, l’inflazione nel nostro Paese sarebbe salita dello 0,8% nel 2022 e non avrebbe avuto ripercussioni significative nel 2023. Quest’anno, quindi, il caro-vita avrebbe superato quota 5%. Quanto al pil, l’effetto negativo per il 2022 poteva essere calcolato in un calo dello 0,6%, ma poi verrebbe sterilizzato l’anno prossimo. Nello scenario intermedio, anche questo parzialmente superato, con una tensione, invece è partita oggi, che potrebbe andare avanti per molti mesi, senza però sfociare in un conflitto bellico, l’inflazione avrebbe subito un incremento aggiuntivo dell’1,1% nel 2022 e dell’1,2% nel 2023: quest’anno, quindi, il caro-vita si sarebbe sarebbe avvicinato al 6%. In questo secondo scenario, il pil avrebbe subìto una frenata dello 0,7% quest’anno e dello 0,8% nel 2023. L’ipotesi peggiore, la terza analizzata da Unimpresa, quella che poi si sta prospettando da oggi, fa riferimento a un conflitto locale duraturo: in questo caso, l’inflazione, a cagione delle tensioni e delle speculazioni sulle materie prime, gas e petrolio in particolare, subirebbe un aumento extra dell’1,8% sia nel 2022 sia nel 2023, andando anche oltre quota 6% nel corso di questi 12 mesi. Mentre il prodotto interno lordo, nello scenario più avverso, accuserebbe un contraccolpo dell’1,1% fermandosi complessivamente sotto la soglia del 3%. Di là dalla durata della guerra, l’Italia deve prepararsi a un anno assai complesso: l’aumento del prezzo delle materie prime farà inevitabilmente salire i costi di produzione delle attività manifatturiere, con danni durissimi da sopportare soprattutto per le piccole e medie imprese.
«L’Europa non ha una linea chiara e manca chiaramente una strategia comune, senza dimenticare che, proprio su un terreno delicatissimo, quello dell’energia, la situazione dei paesi europei è drammaticamente frammentata. Tutto ciò comporta approcci differenti e la difficoltà di trovare un punto di equilibrio. Rispetto alla Francia e anche alla Germania, per esempio, l’Italia produce in casa una quota bassissima del fabbisogno energetico nazionale. I francesi hanno il nucleare, i tedeschi usano ancora molto carbone: noi né l’uno né l’altro. Ne consegue che, rispetto a quanto sta accadendo in Ucraina, considerando la quantità ingente di gas che noi compriamo proprio dalla Russia, siamo in una posizione di debolezza e gli altri due grandi paesi europei, Francia e Germania, non hanno particolare interesse a tutelare» osserva ancora Longobardi.
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