La guerra in Ucraina si rifletterà inevitabilmente sulle importazioni di gas naturale dalla Russia e per l’Italia si creerà un triplo danno economico: per la generazione di energia elettrica, per il riscaldamento delle abitazioni e sul fronte produttivo per le imprese energivore. L’aumento, assai rilevante, del prezzo delle materie prime energetiche, quindi, aggredirà la nostra economia su tre distinti fronti, e nessun altro paese europeo subirà conseguenze rilevante come l’Italia. Lo segnala il Centro studi di Unimpresa secondo cui l’attacco russo in territorio ucraino ha già causato un rialzo rilevante delle quotazioni del gas oltre quota 100 euro per megawatt all’ora, con i picchi maggiori registrati giovedì, e del petrolio oltre quota 100 euro al barile. Secondo Unimpresa, è possibile individuare diversi scenari, con il peggiore che, nell’ipotizzare una duratura tensione tra Mosca e Kiev, potrebbe portare a un razionamento, da parte della Russia, delle forniture di gas in Europa: tutto ciò produrrebbe una perdita del potere d’acquisto delle famiglie (che costringerebbe gli italiani ad attingere ai 1.604 miliardi di euro di riserve e risparmi depositati in banca), a un calo di redditività delle aziende (che dovrebbero subire costi maggiori per la produzione) e a un peggioramento dei conti pubblici (saranno indispensabili nuovi aiuti a famiglie e imprese, da realizzare in deficit). «L’azione bellica avviata improvvisamente dalla Russia ci catapulta inevitabilmente nello scenario economico peggiore. Anche se la guerra dovesse terminare rapidamente, e purtroppo non mi sembra questa la prospettiva, ormai le conseguenze saranno durature. Quindi, entrando nel dettaglio della nostra economia, temo che l’inflazione compia un balzo dall’attuale 4,8% fino a superare quota 6%. Mentre per il prodotto interno lordo ritengo realistico la perdita di un punto percentuale della crescita prevista per il 2022 che dunque si dovrebbe fermare sotto la soglia del 3%. Una situazione pesante e fortemente negativa, nel contesto europeo, soprattutto per il nostro Paese» commenta il presidente onorario di Unimpresa, Paolo Longobardi.
L’Italia ha un consumo di 70-80 miliardi di metri cubi di gas all’anno e 18 miliardi di metri cubi di stoccaggio. Il livello di riempimento aveva raggiunto il 90% alla fine del mese di ottobre 2021, una situazione migliore di altri paesi europei, ma è sceso rapidamente. Nel 2000 la produzione italiana era piu’ di tre volte superiore. La grande maggioranza del gas naturale impiegato dall’Italia viene importato. La Russia è la prima fonte di provenienza e pesa per circa il 45% del metano estero. Poi vengono l’Algeria, che è cresciuta +76% nel 2021 fino a poco meno di un terzo dell’import, secondo i dati Mite-Dgisseg. E l’Azerbaijan del gasdotto Tap, entrato in funzione proprio dallo scorso anno in Puglia dopo anni di contesa con gli ambientalisti locali. Un aiuto per affrontare la crisi potrebbe arrivare dal rafforzamento del corridoio Sud e dal massimizzare i flussi dai gasdotti non a pieno regime a partire proprio dal Tap. Lo scorso anno ha pesato per circa 7 miliardi di metri cubi che potrebbero aumentare di 2 o 3 miliardi entro la fine dell’anno. Più a medio termine c’è il progetto di raddoppiare la capacità del gasdotto fino a 20 miliardi di metri cubi, che non avrebbe bisogno di modifiche infrastrutturali. Il test di mercato si concluderà, in anticipo rispetto alle previsioni, a luglio 2022 poi ci vorrebbero circa 4 anni per la realizzazione. Un altro modo per arginare la crisi viene dall’uso del gas naturale liquefatto (gnl), che viene trattato per essere stoccato e trasportato più facilmente, per esempio dagli Stati Uniti. Il gnl va riportato alla forma gassosa per essere riutilizzato in modo tradizionale. L’Italia ha però una limitata capacità di rigassificazione e solo tre impianti (Panigaglia, Rovigo e Livorno).
«Per quanto riguarda i settori delle imprese italiane più esposti, bisogna distinguere tra quelle che esportano e tra quelle che, pur non esportando, subiranno le conseguenze, gravissime, cagionate dalle sanzioni alla Russia o dai danni diretti dell’Ucraina. Nel primo caso, i settori più rilevanti sono quello alimentare, micromeccanica, nuove tecnologie, abbigliamento. Nel secondo caso, ci saranno danni per tutte le aziende energivore, a prescindere dalla dimensione. E poi, se penso ai rischi per la produzione di grano ucraino, ho forti preoccupazioni per quanto riguarda la produzione alimentare interna. Mi aspetto, pertanto, interventi mirati da parte del governo guidato da Mario Draghi. Abbiamo ascoltato la sua relazione alla Camera e al Senato, nella quale manca proprio un passaggio rassicurante su questo fronte» aggiunge Longobardi.
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