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Umanizzare l’economia

Da qualche tempo gli esseri umani corrono più in fretta e non sempre riescono a pensare e meditare sul significato dell’esistenza. Accade spesso che si corre senza sapere dove andare e perché ci si affanna a sprecare tante energie. A volte si ha la smania di correre perché si è sentito dire che “il tempo è denaro” e quindi bisogna correre per averne molto. La corsa all’accumulo di cose (spesso inutili) e di denaro è stata sempre vinta dai più forti e dai più spregiudicati per cui spesso si sono create tensioni sociali, tra chi aveva troppo e chi aveva troppo poco, che hanno portato a rivoluzioni interne o a vere e proprie guerre tra popolazioni di villaggi, città e territori vicini. Da millenni si ripetono gli stessi scontri. Oggi c’è l’aggravante che le guerre non si combattono più con pietre, spade e lance, ma con armi inventate dalle “civiltà” moderne: le bombe atomiche! Fortunatamente nei tempi in cui viviamo i progressi tecnici e scientifici forniscono gli strumenti (telefonia, televisione, internet, ecc.)per fare una grande rivoluzione pacifica: mettere al centro delle attività economiche la persona umana e considerare il denaro come uno strumento per facilitare la produzione e lo scambio di beni e di servizi al fine di dare la possibilità a tutti di avere accesso al benessere fisico, morale e spirituale. Se vogliamo uscire dalla situazione di crisi è necessario che la cultura e la politica facilitino la democratizzazione di tutto il processo economico rendendolo più umano. Imprenditori e lavoratori non devono più essere spinti alla lotta reciproca, come purtroppo a volte avviene ancora oggi da parte di alcuni esponenti sindacali retrogradi, ma devono stare nella stessa trincea impegnati a creare ricchezza per il benessere individuale e sociale. E’ ora di attuare quanto è scritto anche nella costituzione italiana (e che in molti Paesi, a cominciare dalla Germania, è in atto da tempo) in riferimento alla partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili delle imprese, oltre a favorire, in tutti i modi possibili, la costituzione di micro, piccole e medie imprese tra giovani e tra quanti sono senza lavoro. In Parlamento giacciono, da anni, una decina di disegni di legge, relativi alla partecipazione dei lavoratori alle imprese, tra i quali quelli a firma di Ichino Treu, Sacconi e Pezzotta. Purtroppo il passato Governo tecnico ha emanato delle norme che limitano, invece di favorire, la democrazia economica nelle aziende. Occorrono provvedimenti che favoriscano la collaborazione tra i lavoratori e le imprese per evitare l’aggravarsi del degrado economico italiano. Degrado diffuso maggiormente nelle regioni meridionali anche perché lo Stato non ha prestato l’attenzione dovuta per trattenere i tanti giovani diplomati e laureati, dotati e preparati, che “scappano”, anche se a malincuore, per andare a mettere a frutto i propri talenti a vantaggio di Paesi esteri, europei ed extra europei. A facilitare l’esodo hanno anche contribuito la latitanza della Giustizia, la incertezza dei diritti, la mancanza di sicurezza e la lentezza e il mal funzionamento di una gran parte della burocrazia. Solo negli ultimi anni l’Italia del Sud ha perso oltre 300 mila posti di lavoro mentre nello stesso periodo il Centro – Nord ne ha perso 200 mila. Se molte imprese in difficoltà associassero tutti o parte dei lavoratori in esubero, invece di metterli in cassa integrazione, costringendo all’inattività tante preziose competenze, l’economia ci guadagnerebbe molto. Per incompetenza di alcuni che hanno compiti decisionali (che ancora per fare i conti economici usano il “pallottoliere”) è stato frenato persino lo sviluppo del comparto delle fonti energetiche rinnovabili, uno dei pochi che anche in questo periodo di crisi è in espansione e potrebbe creare molti posti di lavoro e contribuire alla tutela dell’ambiente in cui viviamo.

Bruno Latella, presidente onorario Unimpresa

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