IL PRESIDENTE FERRARA: «OPPORTUNITÀ DI RILANCIO PER ENTRAMBE LE SPONDE DELL’ATLANTICO»
L’economia statunitense si prepara a un 2025 di transizione, con segnali positivi che lasciano intravedere un moderato ottimismo. Il ritorno della “Trumpnomics” sembra portare benefici nel breve termine: il pil è previsto in crescita del 2%, in miglioramento rispetto all’1,7% stimato a settembre. Anche i consumi privati si confermano resilienti, con una crescita attesa del 2% grazie all’effetto combinato di tassi d’interesse più bassi e un aumento delle attività finanziarie, nonostante un mercato del lavoro meno dinamico.
È quanto emerge da un paper del Centro studi di Unimpresa sull’economia degli Stati Uniti, realizzato a poco meno di un mese dall’insediamento del neopresidente Donald Trump, previsto per il 20 gennaio 2025. Secondo Unimpresa, gli investimenti aziendali non residenziali continuano a essere un motore di crescita: per il 2025, si prevede un aumento del 4,9%, sostenuto dalla crescente domanda di macchinari, tecnologie informatiche e soluzioni basate sull’intelligenza artificiale. Inoltre, la politica fiscale rimane espansiva, con un deficit stimato al 7,2% del pil, un leggero miglioramento rispetto al 2024. Nel complesso, la stabilità del mercato del lavoro e una moderazione delle pressioni inflazionistiche, con l’indice dei consumi al 2,3% previsto per l’anno prossimo, offrono un margine di tranquillità ai mercati.
Tuttavia, restano significative incertezze sul medio e lungo termine. Le politiche protezionistiche e le restrizioni sull’immigrazione, centrali nell’agenda di Trump, potrebbero amplificare le pressioni inflazionistiche e creare squilibri nel mercato del lavoro. In particolare, una riduzione dell’offerta lavorativa potrebbe portare a un aumento dei salari, con effetti difficilmente prevedibili sull’inflazione. L’inflazione stessa, dopo un andamento irregolare nel 2024, rimane un punto interrogativo: le pressioni sui prezzi nei servizi non abitativi mostrano segnali di ripresa, e il percorso verso la stabilità dei prezzi appare ancora accidentato.
Sul fronte fiscale, il debito federale continua a crescere: senza interventi correttivi, potrebbe raggiungere il 125% del PIL entro il 2035, con il rischio di salire al 142% qualora i tagli fiscali vengano prorogati in modo permanente. Anche gli investimenti residenziali, pur sostenuti da tassi più bassi, mostrano segni di rallentamento, con una crescita prevista del 2,2% per il prossimo anno rispetto al 4% stimato per il 2024. Infine, il quadro globale delle tensioni commerciali, soprattutto con Cina e Messico, aggiunge un ulteriore elemento di vulnerabilità alle prospettive economiche. Il prossimo anno si prospetta come un anno di opportunità e rischi per l’economia americana. I segnali di crescita e la tenuta dei consumi offrono motivi di ottimismo, ma l’impatto delle politiche della nuova Amministrazione resta il grande interrogativo per il futuro.
«Il ritorno a una crescita economica strutturale, negli Stati Uniti, rappresenta un segnale importante e una speranza per l’intero scenario globale, con ricadute potenzialmente positive anche per l’Unione Europea e, in particolare, per l’Italia. L’economia statunitense ha storicamente dimostrato di essere un traino per le esportazioni europee, grazie alla sua capacità di assorbire beni e servizi prodotti in settori chiave del nostro tessuto industriale, come il manifatturiero e l’agroalimentare. La ripresa degli investimenti aziendali e il miglioramento della domanda interna negli Usa sono fattori che potrebbero dare nuova linfa alle imprese italiane, soprattutto in un momento in cui il mercato interno ed europeo restano condizionati da incertezze. Il consolidamento delle politiche monetarie americane, con una moderazione dei tassi di interesse, e l’espansione fiscale possano contribuire a stabilizzare i mercati internazionali, riducendo la volatilità e favorendo flussi di investimento anche verso il nostro Paese. “È fondamentale che l’Italia continui a rafforzare i legami commerciali e di cooperazione con gli Stati Uniti, cogliendo ogni opportunità per inserirsi in una dinamica di rilancio che può beneficiare entrambe le sponde dell’Atlantico» commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.
Secondo il Centro studi di Unimpresa, nel 2025, l’economia statunitense attraverserà una fase di cambiamento, con il ritorno della “Trumpnomics”. Il pil è previsto in rallentamento, ma meno rispetto alle previsioni precedenti. Nel terzo trimestre del 2024, la crescita economica è stata solida, attestandosi al 3,1% su base annua, e dovrebbe rallentare nei mesi successivi, anche se in misura più contenuta rispetto a quanto stimato tre mesi fa. Per il 2024, la crescita dovrebbe toccare il 2,8%, superando di due decimi le stime di settembre. Le nuove previsioni considerano un’attuazione moderata delle politiche di Trump, che nel breve termine potrebbero dare una spinta alla crescita grazie all’espansione fiscale e alla deregulation. Tuttavia, l’effetto potrebbe essere limitato dall’impatto inflazionistico delle restrizioni sull’immigrazione e dalle politiche commerciali protezionistiche. Le stime aggiornate prevedono un pil in aumento al 2% per il 2025 (rispetto all’1,7% previsto in precedenza), al 2,3% per il 2026 e all’1,9% per il 2027. Dopo il 2027, però, le prospettive sono state riviste al ribasso. L’inflazione potrebbe aumentare, ma in modo contenuto nel biennio 2025-2026, portando i tassi della Fed a stabilizzarsi tra il 3,75% e il 4% entro metà 2025.
I consumi privati, che nel 2024 hanno superato le aspettative, rallenteranno nel 2025 a causa di un mercato del lavoro più debole. Anche se i redditi potrebbero crescere, la necessità di ricostituire i risparmi limiterà la spesa. Tuttavia, tassi più bassi e l’aumento del valore degli investimenti finanziari potrebbero offrire un certo sostegno. Per il 2025, si prevede una crescita dei consumi del 2%, mentre nel 2026 dovrebbe scendere all’1,7%. Entrambi i dati sono stati rivisti al rialzo rispetto alle stime di settembre.
Le restrizioni all’immigrazione e l’imposizione di dazi commerciali potrebbero rappresentare rischi aggiuntivi per queste previsioni. Gli investimenti aziendali non residenziali dovrebbero accelerare nel 2025, crescendo del 4,9%, ma questa previsione è inferiore rispetto al 5,8% previsto in precedenza, a causa del rallentamento delle nuove commesse. Per il 2026, si attende un’ulteriore crescita al 5,3%. I dubbi sulla cancellazione dei crediti fiscali green del “Inflation Reduction Act” freneranno gli investimenti in infrastrutture, ma la spesa in macchinari e attrezzature dovrebbe beneficiare di una maggiore domanda nei settori dei trasporti e dell’informatica, con l’intelligenza artificiale come traino per i prodotti legati alla proprietà intellettuale.
Gli investimenti immobiliari, invece, subiranno un rallentamento, crescendo del 2,2% nel 2025 rispetto al 4% del 2024. La domanda di case sarà comunque sostenuta dai tassi più bassi. Il mercato del lavoro, dopo un’estate difficile, sembra stabilizzarsi, anche se scioperi e uragani hanno creato oscillazioni nei mesi autunnali. La domanda di lavoro rallenterà nel 2025, pur mantenendosi su livelli solidi grazie ai profitti aziendali. Tuttavia, una stretta sull’immigrazione potrebbe ridurre ulteriormente l’offerta di lavoro, spingendo i salari al rialzo. Il tasso di disoccupazione per il 2025 è stato rivisto al ribasso, al 4,4%, mentre per gli anni successivi si prevede un aumento al 4,3-4,5%.
L’inflazione è stata imprevedibile nel 2024, con una decisa frenata a metà anno, seguita da un nuovo rallentamento. Nel 2025, il contributo disinflattivo dei beni si esaurirà, rendendo i servizi il fattore principale per l’andamento dell’inflazione. I prezzi dei servizi abitativi stanno mostrando segnali di moderazione, ma i servizi non abitativi continuano a esercitare pressioni inflazionistiche. Per il 2025-2026, le previsioni per l’indice dei prezzi al consumo (CPI) sono state riviste al rialzo, rispettivamente al 2,3% e al 2,4%. Le politiche fiscalidovrebbero rimanere espansive, con un deficit stimato al 7,2% del pil nel 2025 (rispetto al 7,4% del 2024). Il debito federale è in crescita e potrebbe raggiungere il 125% del pil entro il 2035, se non saranno prorogati i tagli fiscali in scadenza. Tuttavia, se le proposte di Trump venissero attuate, il deficit potrebbe toccare il 10% del pil, con il debito salito al 142%. La Fed ha concluso il meeting di dicembre con un taglio dei tassi di 25 punti base, portandoli al 4,25-4,50%. Tuttavia, sono previsti solo due ulteriori tagli nel 2025, a marzo e giugno. Per il 2026, potrebbe esserci un ulteriore aggiustamento, a seconda dell’andamento dell’inflazione. L’incertezza resta alta: se le politiche di Trump dovessero essere implementate in modo più aggressivo, potrebbero emergere nuovi rischi al rialzo per l’inflazione e il debito.
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