di Mariagrazia Lupo Albore, Direttore generale Unimpresa
L’arresto di Cecilia Sala in Iran ci lascia sgomenti e profondamente addolorati. Non è solo l’arresto di una giornalista coraggiosa che, con professionalità e passione, racconta le verità più scomode dai luoghi più pericolosi del mondo. L’arresto di Cecilia Sala rappresenta una ferita aperta per la libertà di stampa, per la libertà d’espressione e, soprattutto, per i diritti delle donne. Cecilia è una donna che ha scelto di raccontare il mondo con gli occhi della verità, anche quando questa è scomoda e difficile da accettare. Ma oggi, il suo arresto ci colpisce in maniera ancora più profonda, perché è avvenuto in un Paese, l’Iran, dove le donne combattono quotidianamente una battaglia per la loro stessa dignità. Un Paese dove il solo fatto di essere donna comporta discriminazioni, repressioni e, troppo spesso, violenze.
L’Iran è tristemente noto per la sistematica violazione dei diritti umani, in particolare di quelli delle donne. Lì, le donne sono costrette a vivere secondo regole che negano loro ogni autonomia e libertà, sotto il costante controllo di una morale imposta che non lascia spazio all’individualità e alla scelta personale. L’arresto di Cecilia Sala assume dunque una valenza simbolica: una donna che rappresenta la libertà e il coraggio, rinchiusa in un sistema che calpesta ogni giorno i diritti fondamentali delle sue cittadine.
Come donna al vertice di Unimpresa, non posso fare a meno di riflettere su quanto questa vicenda sia emblematica di un mondo che, in molte sue parti, non riconosce ancora il valore e il ruolo delle donne. In Italia, come nel resto del mondo, le donne continuano a lottare per affermarsi, per conquistare il loro spazio, per essere considerate alla pari. Ma in contesti come quello iraniano, la situazione è infinitamente più drammatica: è una lotta per la sopravvivenza, per la dignità, per il diritto di esistere. Quello che sta facendo l’Iran non può e non deve passare sotto silenzio. È nostro dovere, come cittadini, come associazioni, come istituzioni, alzare la voce per chiedere la sua liberazione immediata. Ed è nostro dovere ricordare che ogni volta che una donna viene imprigionata, maltrattata o privata dei suoi diritti, tutta l’umanità perde un pezzo della sua anima. Il governo italiano ha già espresso la sua preoccupazione e il suo impegno per ottenere il rilascio di Cecilia. A loro va il nostro sostegno, ma anche il nostro monito: non possiamo permettere che questa vicenda si riduca a un caso isolato. Deve essere l’occasione per richiamare l’attenzione su tutte le donne che, in Iran e altrove, vivono sotto regimi che ne annullano l’essenza.
Unimpresa è al fianco di tutte le donne che lottano per la libertà. Lo siamo con le nostre imprenditrici, che ogni giorno affrontano sfide spesso raddoppiate solo perché donne. Lo siamo con le giornaliste, come Cecilia, che rischiano la loro vita per raccontare la verità. E lo siamo con tutte quelle donne, conosciute e sconosciute, che in ogni angolo del mondo combattono per un futuro migliore. Siamo di fronte a una vergogna che non possiamo accettare. È il simbolo di un mondo che ha ancora tanta strada da fare per raggiungere la parità, la libertà e il rispetto dei diritti umani. Da qui deve partire una mobilitazione collettiva, un grido unanime che chieda giustizia e libertà, per Cecilia e per tutte le donne.
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