Pubblichiamo l’intervento del segretario generale di Unimpresa Agricoltura, Emilio Ferrara.
Il Piano nazionale d’attuazione della direttiva 2009/128/CE, relativa all’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, dovrebbe essere un documento strategico per il futuro dell’agricoltura italiana, definito con la partecipazione di tutti i soggetti interessati, dai produttori di fitofarmaci ai produttori agricoli e le loro rappresentanze, dai servizi di assistenza tecnica alle autorità preposte alle politiche d’indirizzo e supporto. Notiamo invece che, a pochi giorni dalla adozione definitiva, che dovrebbe avvenire entro il 26 novembre 2012, non c’è alcuna forma di coinvolgimento da parte dei Ministeri Interessati (Ambiente e Politiche Agricole in primis). Nonostante ciò sentiamo il dovere di evidenziare alcuni elementi di criticità della bozza di tale documento giacché le misure in esso contenute avranno un forte impatto su tutte le imprese agricole. Con tutta evidenza il “Piano” richiede una visione più vasta e strategica, perché così com’è sembra avere come obiettivo esclusivo quello della riduzione dell’uso dei fitofarmaci, forzando l’interpretazione dell’art. 1 della direttiva 2009/128/CE che pone, invece, come obiettivo quello di realizzare un uso sostenibile dei fitofarmaci riducendone i rischi e gli impatti sulla salute umana e sull’ambiente e promuovendo l’uso della difesa integrata e di approcci o tecniche alternativi. L’obiettivo del Piano dovrebbe essere prima di tutto quello di salvaguardare le colture da patologie che compromettono l’esito della produzione finale e i requisiti di sicurezza alimentare del prodotto agricolo, non limitandosi all’obbligo per l’agricoltore di utilizzare solo alcuni dei prodotti oggi ammessi, che, tra l’altro, negli altri paesi continuerebbero ad usare. In sostanza non si tiene conto di quanto fatto dall’agricoltura italiana negli ultimi venti anni, giungendo a una drastica riduzione in termini quantitativi dell’uso di fitofarmaci e, ancor di più, a un loro più corretto uso come anche i dati del Ministero della salute confermano con la quasi totalità (il 99.7%) dei campioni di ortofrutta analizzati nel 2011 che presenta o zero residui di antiparassitari o, comunque, residui inferiori ai limiti di legge. Inoltre, manca una valutazione degli oneri economici che competono alle imprese ai fini dell’adesione ai sistemi di difesa integrata obbligatori a partire dal 2014, imponendo altri oneri che graveranno sulle imprese in termini economici e burocratici. Rispetto agli obblighi di formazione di cui sono destinatarie le imprese agricole, esiste indubbiamente una complementarietà tra gli obblighi derivanti dalla legislazione in materia di fitofarmaci e quelli concernenti la sicurezza nei luoghi di lavoro. Nella bozza di Piano manca un’indicazione in merito alla necessità di stabilire un coordinamento dei momenti formativi suggerendo, ad esempio, alle Regioni di evitare la duplicazione delle iniziative, al fine di evitare sprechi di risorse e moltiplicare il tempo che il lavoratore agricolo, sia esso autonomo o dipendente, è tenuto a dedicare a questo tema. Per quanto concerne l’uso di fitofarmaci nei siti Natura 2000 e nei parchi, seri problemi si pongono in ragione dell’estesa perimetrazione di tali aree nelle quali insiste un quarto della superficie agricola nazionale e rispetto a cui si prevede la necessità di introdurre ancora una volta in modo preventivo misure restrittive. In particolare non condividiamo la scelta di attribuire al Ministero dell’ambiente la competenza di individuare prescrizioni per il divieto nelle zone della Convenzione di Ramsar di utilizzo di prodotti fitosanitari, in quanto tali restrizioni dovrebbero essere valutate dalle Regioni e dalla Province autonome sulla base di specifiche situazioni locali e, soprattutto, motivandole sul piano tecnico. Un “Piano” certamente da migliorare anche e soprattutto attraverso il coinvolgimento dei soggetti destinatari, un’abitudine che alcuni esponenti del Governo in carica assolutamente non riescono a prendere.
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