Il grande evento al Senato della Repubblica con tutto il Comitato di presidenza dell’associazione. Consegnata una targa commemorativa in ricordo del compianto primo presidente onorario di Unimpresa, Bruno Latella. Secondo il segretario generale di Unimpresa, Raffaele Lauro «il governo deve indicare i principi di una riforma fiscale che sia chiara, equa, comprensibile e leggibile da parte anche dall’ultimo dei cittadini». Il dibattito moderato da Frediano Finucci, caporedattore del TgLa7. Interventi del presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara, del vicepresidente Giuseppe Spadafora, dei consiglieri nazionali Marco Salustri e Giacomo Spada
«Il governo deve indicare i principi di una riforma fiscale che sia chiara, equa, comprensibile e leggibile da parte anche dall’ultimo dei cittadini». Lo ha detto il segretario generale di Unimpresa, Raffaele Lauro, parlando della riforma del fisco proposta dal ministro dell’Economia, venerdì 4 settembre, durante il convegno organizzato da Unimpresa a Roma al Palazzo della Minerva del Senato della Repubblica. «Non è possibile leggere ogni mattina un annuncio diverso» ha aggiunto il segretario nel corso del dibattito moderato dal giornalista, caporedattore del TgLa7, Frediano Finucci. L’evento è stata l’occasione, per il vertice dell’organizzazione, non solo per presentare pubblicamente la nuova squadra di comando, dove da poco si è insediato il nuovo segretario generale, ma soprattutto per illustrare, in una sede istituzionale, un articolato pacchetto di proposte – indirizzate al governo e al Parlamento – volte a far ripartire il Paese dopo l’emergenza Covid e ancora alle prese con i dannosi effetti all’economia.
L’evento è stato introdotto dal presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara, che, al termine dei lavori, ha consegnato a Caterina Latella una targa commemorativa, dedicata al compianto primo presidente onorario di Unimpresa, Bruno Latella. Secondo Ferrara «sei mesi di lockdown, a vari livelli e con intensità diverse, hanno letteralmente fermato il Paese. Sei mesi, quelli appena trascorsi, che anno stravolto l’Italia e non solo, che hanno cambiato le nostre vite, rendendoci tutti più fragili. È smarrito il senso di fiducia, si è persa la voglia di guardare al futuro migliore. Purtroppo, il sentiero impervio e pericoloso nel quale siamo stati obbligati a camminare non è finito affatto: probabilmente ci vorranno ancora molti mesi prima che si possa conquistare la normalità, dopo la pandemia. E c’è da scommettere che si tratterà di una normalità diversa, di un mondo cambiato, di economie ferite e falciate dal Coronavirus». Il presidente di Unimpresa ha descritto il quadro macroeconomico interno e internazionale, snocciolando numeri e confronti con gli ultimi 20 anni. «Il prodotto interno lordo italiano tornerà alla fine dell’anno sotto i livelli del 2000, quando l’economia del nostro Paese cresceva del 4%. Dieci anni più tardi, nel 2010, il pil è aumentato al ritmo dell’1,8% e alla fine del 2020 dovrebbe registrarsi un brusco calo del 12%. L’inflazione è passata dal 2,2% del 2000 all’1,8% del 2010, mentre quest’anno dovrebbe fermarsi poco sopra soglia zero (0,2%). In calo gli investimenti, dal 20,8 del pil del 2000 al 18% del 2018, mentre resta alta la quota di risparmi, stabile sopra il 20% del pil» ha detto Ferrara.
Il pomeriggio, intenso e seguito con grande attenzione dalla folta platea in sala, ha offerto molti spunti di riflessione, soprattutto sul terreno tributario. Secondo il segretario generale Lauro «la grande riforma annunciata dal governo richiederà l’ausilio non solo di riconosciuti esperti della materia tributaria, ma anche professionisti che vivono e affrontano quotidianamente le incertezze di queste norme per conto dei propri disperati clienti. La sfida, quindi, è certamente quella della tempistica richiesta per rivedere le norme tributarie, nel loro complesso, e renderle, a livello macroeconomico, idonee alla provvista delle entrate necessarie alla spesa annuale, nel rispetto del patto di bilancio europeo. La strada tracciata è senz’altro quella giusta, ma è necessario ora un intervento urgente del governo per definire, in modo chiaro e preciso, i principi, i contenuti e i tempi di questa riforma-chiave. Un aspetto non secondario del quadro da riformare riguarda i tempi e le modalità di riscossione dei tributi: il passaggio da un metodo che prevede il calcolo annuale delle imposte sui redditi a un metodo “per cassa” su base mensile o trimestrale». Interessanti le riflessioni relative al confronto internazionale. «Non trovo utile andare a copiare sistemi fiscali di altri paesi. Il fisco tedesco alleggerisce redditi più bassi, ma non risolve il problema» ha osservato il consigliere di Unimpresa, Marco Salustri, secondo il quale «se proprio dobbiamo fare un paragone penserei al modello anglosassone». Salustri ha anche illustrato un documento dal quale, nel dettaglio, emerge che con il modello fiscale tedesco non risulterebbe risolta, in Italia, la disparità di tassazione tra i contribuenti: rimarrebbe un’evidente sproporzione tra l’aliquota del 42%, applicata su redditi fino a 260.532 euro, e quella del 45%, applicata su redditi oltre 260.533 euro. Ciò perché le percentuali delle aliquote troppo ravvicinate rispetto a redditi piuttosto omogenei. Il sistema applicato in Germania, infatti, è troppo simile a quello italiano, specie se si prende in considerazione l’aliquota Irpef del 39%. Il documento di Salustri confronta il modello fiscale italiano con quello tedesco, indicato dal ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, come sistema da imitare, in Italia, per l’annunciata riforma. Secondo l’analisi di Unimpresa, «un’esenzione di tassazione per redditi fino a 9.000 rende il sistema tedesco, “simile” a quello italiano che esenta i redditi fino a 8.000 euro per i lavoratori dipendenti e fino 4.800 euro per i lavoratori autonomi, in base alle ultime modifiche normative». Secondo Salustri «per essere incisiva per l’intero sistema economico, una riforma fiscale dovrà essere globale, tanto per le imposte dirette sia per quelle indirette, al fine di evitare continui e inutili aggiustamenti tributari, che ne distorcerebbero gli effetti macroeconomici, confonderebbero imprese e lavoratori autonomi, oltre ad aggravare, inevitabilmente, i costi di gestione delle imprese». Ragion per cui, Unimpresa chiede una riforma fiscale organica, equa, trasparente e chiara, senza più il rosario infinito delle interpretazioni normative. «Né si potrà prescindere dalla considerazione che, maggiore sarà il potere di spesa dei contribuenti, quali le pmi, lavoratori autonomi e dipendenti, migliore sarà l’andamento dell’economia reale e la ripresa» osserva ancora il consigliere nazionale di Unimpresa.
Parlando del sistema del credito alle piccole e medie imprese, il vicepresidente di Unimpresa ha detto che «il fondo di garanzia non deve essere usato come ombrello per le banche, ma per dare credito alle imprese. Bisogna rivedere i parametri per l’accesso al Fondo. Il fatturato non basta, anche perché il prossimo anno tutte le imprese avranno un calo». Il vicepresidente ha osservato che occorre «pensare allo sviluppo e alla crescita dell’impresa, come ad esempio attraverso le strategie di internazionalizzazione, di innovazione, di acquisizione, richiede ripensare la struttura finanziaria. Sono strategie che hanno bisogno di tempo per dare risultati. Rispetto alle necessità delle imprese, ma anche rispetto alla situazione in cui versa il sistema del credito bancario, la domanda da porsi è quali siano oggi le strategie finanziarie che possono essere considerate adeguate e sostenibili. Chi gestisce una piccola e media impresa, imprenditore o manager che sia, non può oggi non valutare l’opportunità di una crescita qualitativa e di una diversificazione della struttura finanziaria».
Ha parlato a lungo di giustizia civile il consigliere nazionale di Unimpresa, Giacomo Spada, e l’ha definita «una delle più lente della Comunità europea: i mali vanno ricercati in via prioritaria in due fattori che sono estremamente determinanti in modo negativo per tutto il complesso del sistema: uno organico e l’altro strutturale. Il primo è certamente l’esiguo numero dei magistrati e del personale di cancelleria, ed entrambi dovrebbero essere aumentati di non meno del cinquanta per cento nel giro di uno-due anni e raddoppiati negli anni immediatamente a seguire. È un dato di fatto che in Germania un giudice civile tratta in media cento cause l’anno e in Italia, vedasi Napoli circa 530 cause ciascuno e Catania da 700 a 1.500 ciascuno. Certo sono indici che variano nelle varie regioni italiane, ma è indubbio che è il Sud che è estremamente penalizzato». Secondo Spada «il secondo problema è la carenza strutturale dei Tribunali e delle Corti, con uffici piccoli e inadeguati, si pensi che per sopperire alla mancanza di spazio i fascicoli dei giudizi vengono ammassati nei corridoi in armadi e scaffali privi di qualunque sicurezza ai quali chiunque può accedere senza alcun controllo o al numero delle aule di giustizia già esiguo rispetto all’attuale numero dei magistrati che sono costretti a dividersele tra di loro a giorni alterni e estremamente piccole nelle quali, per forza di cose, sono costretti ad ammassarsi in spazi di 4 metri per 5 o meno, dieci o più avvocati, senza piani di appoggio per scrivere i verbali, o costretti a stare in piedi nei corridoi in attesa del ricambio nell’aula.
La digitalizzazione, poi, è stato l’argomento affrontato e approfondito dal vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora. «Siamo l’ultimo dei grandi paesi europei ma nel contesto generale tutta l’Europa è comunque più debole degli Stati Uniti e anche della Cina, infatti nella top delle prime 2500 imprese mondiali, in termini di digitalizzazione industriale, anche se l’Europa vanta qualche primato nel settore auto, non lo è nelle infrastrutture digitali, nella cybersecurity, nel settore elettronico e nei servizi. In sintesi, significa che in Europa, ma soprattutto in Italia, le aziende pubbliche e private non fanno investimenti in ricerca e sviluppo, in software o in intellectual property e di conseguenza in capitale umano. A molti non è chiaro che digitalizzazione e automazione sono e saranno sempre di più la chiave per creare nuovo lavoro vincendo la competizione sui mercati e mantenendo salari alti, al contrario di quello che sta avvenendo adesso. La tendenza è infatti quella di perseverare investendo in settori a bassa produttività, bassa digitalizzazione e di conseguenza scarsa capacità di penetrazione dei mercati e scarsa capacità di mantenere posizioni di mercato con conseguenti bassi salari». Secondo Spadafora «digitalizzare significa creare lavoro ben pagato rimanendo sul mercato e, per quanto attiene la pubblica amministrazione, significa essere competitivi ed attrarre investimenti esteri».
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