La campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti, in cui si sfidano la democratica Kamala Harris e il repubblicano Donald Trump, delinea due strade radicalmente diverse per l’economia statunitense. Trump propone una visione più aggressiva, fatta di riduzione fiscale e protezionismo commerciale, spingendo il Paese verso un rischio calcolato di deficit e inflazione per rilanciare la crescita.
Harris, dall’altra parte, mette in primo piano la stabilità fiscale e la giustizia sociale, puntando su un modello di crescita sostenibile che, pur favorendo una maggiore spesa sociale, cerca di mantenere sotto controllo il debito e l’inflazione. La scelta per gli elettori sarà dunque tra una crescita rapida e disinvolta e un percorso più cauto e bilanciato, con riflessi che potrebbero definirsi solo nel medio-lungo termine». È quanto si legge in un documento del Centro studi di Unimpresa realizzato in vista dell’election day negli Stati Uniti d’America.
Secondo il Centro studi di Unimpresa «uno sguardo approfondito sulle proposte economiche dei due principali candidati alla presidenza degli Stati Uniti, Kamala Harris e Donald Trump, rivela visioni contrapposte su come guidare il futuro economico del Paese. Le divergenze riguardano ambiti chiave, come la politica fiscale, il commercio e il ruolo della Federal Reserve, con implicazioni notevoli per il debito pubblico, l’inflazione e la sostenibilità della crescita a lungo termine». Ecco i dettagli su interventi fiscali, debito e deficit, indipendenza della Fed e inflazione, politiche commerciali.
Interventi fiscali. Harris propone un approccio fiscalmente cauto, concentrato su un’espansione delle misure di welfare e su investimenti infrastrutturali, particolarmente nel settore delle energie rinnovabili. Il piano di Harris include un aumento delle tasse per i redditi e le aziende più elevate, con l’obiettivo di finanziare un sistema di aiuti e benefici per le famiglie a medio e basso reddito, attraverso il potenziamento di crediti d’imposta e agevolazioni per i figli. Questa visione economica, bilanciata tra spesa sociale e responsabilità fiscale, punta a sostenere la classe media senza compromettere la sostenibilità del debito pubblico. In netto contrasto, Trump propone una drastica riduzione delle tasse per individui e imprese, ispirandosi ai tagli fiscali del Tax Cuts and Jobs Act del 2017. Questo piano di tagli profondi sarebbe sostenuto non tanto da entrate fiscali stabili quanto piuttosto dal deficit, con il rischio di spingere il debito pubblico verso livelli ancora più elevati. In questo contesto, Trump si affida a una strategia audace: stimolare consumi e investimenti attraverso un fisco leggero, scommettendo sul dinamismo del settore privato per sostenere l’economia.
Debito e deficit. Il peso del debito pubblico, però, rischia di diventare il fattore critico per entrambi i piani. Secondo le proiezioni, la proposta di Harris comporterebbe un aumento del debito al 133% del PIL entro il 2035, mentre quella di Trump potrebbe portarlo al 142%, una differenza sostanziale che riflette la maggiore portata dei tagli di Trump rispetto all’approccio più equilibrato di Harris. Mentre quest’ultima punta a mantenere un equilibrio tra spesa e introiti, Trump progetta di ampliare la spesa senza preoccupazioni immediate per il deficit, con una visione quasi keynesiana di stimolo economico in deficit.
Indipendenza della Fed e inflazione. Anche sul fronte della Federal Reserve, i due candidati mostrano profonde differenze. Harris punta a mantenere l’indipendenza della Fed, in linea con la tradizione economica americana che vede nella Banca centrale un baluardo di stabilità. L’intenzione è quella di evitare politiche che possano minare la credibilità dell’istituto monetario, in modo da prevenire ondate inflazionistiche che potrebbero pesare sui redditi più bassi. Al contrario, Trump prospetta un’interferenza più marcata con la Fed, paventando la possibilità di indebolire l’autonomia dell’istituto per favorire una politica monetaria espansiva. Questa scelta, secondo alcuni esperti, potrebbe portare vantaggi di breve periodo in termini di crescita economica, ma rischia di aprire la strada a una spirale inflazionistica che il Paese non vedeva da decenni.
Politiche commerciali. Le proposte di politica commerciale ampliano ulteriormente il divario tra le due visioni. Trump intende rilanciare la cosiddetta “Trade War” introducendo tariffe universali, con un dazio specifico del 60% su tutte le importazioni dalla Cina, un segnale chiaro della sua intenzione di rimettere al centro l’aggressivo protezionismo del primo mandato. Questa mossa, sebbene miri a proteggere i produttori nazionali, potrebbe rallentare il commercio internazionale, portando a un’inflazione importata che graverebbe sui consumatori americani. Harris, invece, segue una strada più cauta: preservare le attuali tariffe per settori specifici e mantenere aperto il dialogo commerciale per ridurre tensioni e volatilità sui mercati internazionali.
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